martedì 27 dicembre 2011

La Diserzione degli Animali del Circo Yo Yo Mundi (EMI Music 1994)












Era la metà degli anni Novanta ed in Italia si respirava un fermento creativo e musicale di profondo rinnovamento e voglia di osare, soprattutto all'interno di quel movimento cosiddetto underground. Decine di band formate da ragazzi di provincia iniziarono a girare su e giù per la Penisola proponendo una ventata di musica fresca e spontanea come non mai si era vista da noi.
Ho un bel ricordo di quegli anni, concerti e gruppi da scoprire che avevano davvero tanto da dire e rabbia da sfogare: i centri sociali come punto d'inizio e l'epilogo con le major che ristamparono interi cataloghi, passando per il palco della Max Generation a Sonoria nel 1995.
Tra i dischi che più ho apprezzato in quel periodo ecco La Diserzione degli Animali del Circo, primo album dei piemontesi YoYo Mundi, una splendida realtà in bilico tra pulsioni rock e folk ruspante, tra il cantautorato e la protesta sociale.
Un album sincero ed intenso che racconta tra le sue righe storie di personaggi disparati, un circo di emozioni e colori che vuole fare pensare l'ascoltatore oltre a farlo divertire.
Venghino signori, Venghino,come direbbe Paride Orfei, invitando il pubblico ad assistere allo spettacolo del suo Circo, il primo senza animali, disertori stanchi di essere sfruttati e maltrattati.
Ma il  Circo può essere bello anche senza i leoni: ed ecco la Contorsionista con le sue evoluzioni o L' Acrobata che volerà sempre più in alto fino a raggiungere le stelle. Tra il pubblico ci sono  i "ragazzi con le basette diseguali", quelli che  non vogliono seguire la massa di loro coetanei tra discoteche e fast food, ma vogliono vivere la loro vita senza piegarsi alle mode ed alla pubblicità. C'è anche un bambino solitario e taciturno, che vorrebbe ridere e divertirsi come gli altri, ma è cresciuto ascoltando animali urlare e morire, perchè è il Bambino del Macello, ma magari quella banda sghangherata di ciclisti (Bicicleta Basca) gli strapperà un sorriso. Il ciclismo è davvero uno sport di provincia, lontano dalle metropoli calcistiche e lo sa la Freccia Vallona che corre a rotta di collo per i tornanti delle Fiandre.
Quante storie vengono raccontate in questo album, quante fiabe che fanno sorridere e fanno commuovere, ballate di campagna ma con l'occhio lungo verso l'Europa senza dimenticare che dietro il bancone del mixer si è seduto Brian Ritchie dei Violent Femmes, altri buskers mica da ridere.
Visto che in questi ultimi anni il movimento folk-rock è tornato in auge, vi propongo di andare a rispolverare questo album, forse pioniere in quegli anni (insieme ai Modena City Ramblers) di un movimento che è poi esploso tempo dopo!
Andeira!!!!!!
www.yoyomundi.it
www.myspace.com/yoyomundi

lunedì 19 dicembre 2011

It's Alive 2011!!!!!



Beh ormai questo 2011 sta volgendo al termine, ancora poche settimane ed entreremo nell'anno, che sulla carta, dovrebbe essere uno dei più controversi di sempre. Ad ogni modo mi va di riprendere in mano i (quasi)365 giorni che stiamo salutando e ricordare le decine di concerti che ho avuto la fortuna di vedere: live memorabili, live scadenti,emozioni, rotture di cazzo e ricordi per immortalare per sempre l'aspetto musicale di questo 2011.
Partiamo dall'inizio quindi, con il mese di Gennaio, che vede il sottoscritto, partire in una fredda e nebbiosa sera alla volta dell'Amigdala Theatre a Trezzo sull'Adda, vicino Milano per la data dei punk rockers spezzini The Manges. Per chi ascolta punk rock non hanno certo bisogno di presentazioni visto che sono in giro da almeno vent'anni ed il loro ultimo album Bad Juju è uno dei migliori dischi di punk "ramonico" in circolazione.
Il locale è bello pieno ed è presente anche lo zoccolo duro dei fans della band spezzina,la quale,  tempo di far riscaldare la platea con un paio di gruppi spalla, arriva sul palco bella carica regalando un ora di veloce e frenetico punk rock, senza se e senza ma, alternando i classici della loro carriera con gli ultimi estratti da Bad Juju, più una manciata di cover dei Ramones che non fanno mai male. Un ottimo concerto che rende merito ai The Manges inossidabili più che mai!
Febbraio è un mese un pò in sordina, per fortuna ci pensa lo storico Murrafield Pub a Chiasso, Svizzera che ospita gli australiani Go Set, punk band dalle influenze celtiche sullo stile di Street Dogs e Dropkick Murphys. Anche qui un oretta di live set che scorre via veloce veloce come le pinte di Guinness al bancone.La band si sbatte e sciorina via estratti dalla loro discografia, non disdegnando anche momenti acustici da pub irlandese. Sicuramente non hanno i numeri per competere con le altre bands qui sopracitate, ma in quanto a sudore ed intensità non si può proprio dire nulla.
E finalmente arrivò anche Marzo, con uno degli concerti da me più attesi: la reunion dei Kyuss,denominata appunto Kyuss Lives. E' sempre Trezzo sull Adda ad ospitare questo evento, anche se nella sua venue più ampia, il Live Club. L'atmosfera è quella delle grandi occasioni con migliaia di persone presenti ed un sold out annunciato da mesi. Se per le band di spalla ho preferito bermi una birra e scambiare quattro chiacchere con le vecchie facce accorse per l'occasione e ritrovate nel pit, per i Kyuss ho l'adrenalina a mille visto che sono stati uno dei miei gruppi preferiti in quei formidabili anni Novanta.

Della formazione originale manca Josh Homme, sostituito da uno misconosciuto Bruno Fevery che farà il suo compito preciso preciso, ma per il resto la line up originale formata da Garcia-Olivieri-Bjork non lascia prigionieri dando fuoco per due ore agli amplificatori, rendendo l'aria satura di elettricità e potenza. Vengono snocciolati tutti i classici della loro(breve)discografia ed il finale è affidato ad un incendiaria versione di Green Machine che non lascia prigionieri!
Il mese di Aprile regala altri due appuntamenti "impossibile mancare" per chi ama il punk rock: il tour italiano di CJ Ramone e il Loud & Proud Festival che vede all'interno del suo cartellone gli headliner Dropkick Murphys e special guest del calibro di Devil's Brigade e Madball.
L'ex bassista dei Ramones (post DeeDee era) è alla sua prima calata italica da quando i "fratelli" si sono sciolti e l'attesa, per chi come me, vivrebbe a pane e Ramones è a dir poco spasmodica. Cj ha avuto il merito di aver dato una botta di vita all'ultima line up della band, sfiancata da una vita on the road ed ai dissidi interni, per cui è entrato nel cuore dei fans, nonostante abbia preso il posto di uno dei fondatori storici della band.
Per l'occasione, all' Amigdala Theatre di Trezzo, come opener della serata ci sono due delle migliori realtà italiane: i Leeches from Como e gli spezzini Manges. Tutte  e due le bands nella mezzoretta a disposizione si prodigano nello scaldare il pubblico con degli ottimi set, ma quando è il momento di Cj i cori "Hey Ho, let's Go" si sprecano ed è proprio la leggendaria Blitzkrieg Bop a dare inizio alle danze. Nell'ora e mezza di concerto Cj snocciolerà i classici della discografia ramonica per un pubblico fedele ed adorante che non smetterà nemmeno un secondo di lanciarsi sottopalco per rivivere ancora una volta i classici dei Fast Four. Cj è in gran forma ed è ben supportato dallasua band che vede tra gli altri, anche il leggendario Daniel Rey alla chitarra e alla voce sui classici Poison Heart e Pet Cemetery.

Qualche giorno dopo all'Alcatraz di Milano va in scena il sopracitato Loud&Proud Fest: l'affluenza è buona, cosi come la scelta dei gruppi in cartellone, che riesco a vedere solo dai Devil's Brigade in poi. Il side project dei Rancid esalta il numeroso pubblico con il suo psychobilly, anche se mi chiedo sempre quando dovrò aspettare per vedere la band madre ancora in attività, mentre l'act successivo, i newyorkesi Madball sfogano tutta la loro rabbia nell'oretta a disposizione, creando non pochi problemi alla security nelle prime file. Ma il piatto forte della serata sono i bostoniani Dropkick Murphys, band che in Italia ha sempre ottenuto ampi consensi. Ed infatti appena saltano sul palco si scatena il delirio all'interno del locale con l'opener Hang'em High, tratta dal loro ultimo album Going Out in Style. ovviamente la scalettas è improntata sui pezzi del loro più recente lavoro, ma i classici non mancano come Fields of Athenry o Kiss Me I'm Shitfaced che, come tradizione vuole, vede il palco invaso dalle ragazze presenti in sala. Il finale è caotico con una folla di persone sul palco ad eseguire TNT degli AC/DC. I Murphys sono da sempre una certezza!

E con l'arrivo della bella stagione iniziano gli Open Air Festival ed i concerti all'aperto e Giugno mi vede presente al Rock in IdRho alle porte di Milano.Inizio subito con le critiche, cosi mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa( o meglio dall'anfibio!): i concerti a Milano ormai sono solo una mera macchina d'affari che non tengono conto delle esigenze di chi paga il biglietto! Orari assurdi, gruppi buttati sul palco in stile catena di montaggio con suoni approssimativi(almeno nei primi pezzi del live), prezzi di cibo e bevande alle stelle per non parlare dei parcheggi: 15 euro a macchina sono una truffa legalizzata!!
Dopo questo sfogo ritorniamo alla musica suonata, con un lotto di bands davvero interessanti: Purtroppo mi perdo il set dei Flogging Molly e Band of Horses, visto che la fila per i controlli era chilometrica ed accurata più  del check in di un aereoporto, ma al mio ingresso in arena,s ul palco ci sono gli Hives, che non ci mettono molto a scaldare il numeroso pubblico con il loro rock and roll diretto ed incendiario.
Breve cambio palco ed ecco Mike Ness ed i suoi Social Distorsion che, a dire il vero, sono stati la delusione della giornata. Chi scrive è un fan della band di Orange County e si aspettava molto da questa unica esibizione italiana, anche perchè il loro ultimo album ha riscosso molti commenti positivi (qui la recensione) ela voglia di rivederli dal vivo era davvero tanta. Purtroppo ho trovato una band sottotono, stanca che si è trascinata a fine concerto un pò snobbata da tutti, aldifuori della cerchia dei fedelissimi fans, ma che non ha mai avuto il merito di coinvolgere la folla come avrebbe fatto qualche anno fa. Unica eccezione la cover di Ring of Fire che ha svegliato i presenti  nel assolato pomeriggio.
Di ben altro spessore Iggy Pop ed i suoi Stooges, che sono saliti sul palco con la convinzione di non fare prigionieri. L'Iguana, a dispetto dei suoi anni, non lesina energie e si lancia a rotta di collo giù dal palco, salta, si contorce e catalizza tutta l'attenzione su di sè; poco importa se chi suona alle sue spalle sono solo dei validi gregari: l'icona del punk rock più selvaggio e ferale è Lui! Da Search and Destroy a I wanna be your Dog, vengono riproposti tutti i classici della band  e a fine show il vincitore morale della kermesse è proprio Iggy Pop! Immortale!

 Gli headliners sono i Foo Fighters e anche per loro l'attesa è tanta, visto che sono diversi anni che mancano dall' Italia, ma soprattutto con un album fresco di stampa, cercano la conferma di non essere più delle seconde linee, ma bensì una delle punte di diamante della scena rock internazionale di quest'ultimo decennio. Operazione riuscita: il concerto di questa sera mi ha fatto riscoprire una grande band, capace di scrivere ottime canzoni, originali e di grande presa, mi ha fatto scoprire musicisti eccezionali capapci di tenere in pugno la folla per quasi due ore, ma soprattutto mi ha fatto apprezzare un personaggio come Dave Grohl che si è scrollato di dosso l'etichetta di "ex batterista" dei Nirvana per diventare un musicista capace di camminare sulle proprie gambe e la sensazione a fine concerto è stata quella di volerli rivedere subito,magari in un contesto lontano dalla "sfacchinata" della maratona "dieciorelivesottoilsole".

Luglio ha come evento clou la trasferta in terra friulana per l'unica data tricolore di Bon Jovi. Per l'occasione lo stadio di Udine vede il tutto esaurito ed i puristi possono storcere il naso finchè vogliono, ma il concerto del rocker americano vale tutto il prezzo del biglietto.Volete un pò di Rock and Roll Circus? Bene, tre ore di concerto (una buona parte sotto l'acqua), un palco eccezionale, effetti pirotecnici ed una lista di canzoni che, volenti o nolenti, ci hanno accompagnato negli ultimi 25 anni di ascolti musicali. In più se aggiungiamo una folla oceanica che crea il giusto feedback, direi che il cerchio si può tranquillamente chiudere.
Meno di una settimana dopo, mi trovo, praticamente sotto casa, la data del tour estivo di Davide Van de Sfroos. Seguo il cantante comasco sin dagli esordi ed ormai presenziare ad una delle sue serate è ormai un dovere morale, ma la curiosità era tanta,a lla luce del successo sanremese di Yanez. In effetti il pubblico è notevole, anche perchè questa sarà l'unica data in territorio comasco. Purtroppo non mi ha lasciato particolarmente soddisfatto: se dal punto di vista musicale Davide ha guadagnato in tecnica e professionalità, pecca un pò nel coinvolgimento, una delle sue principali doti in sede live. Anche qui due ore e mezza di concerto, ma che in parecchi momenti hanno stancato il sottoscritto che, avrebbe voluto qualche stacco più trascinante come ai vecchi tempi! da ricordare una cover di Riders on the Storm dei Doors, rifatta in dialetto lagheèè/misto inglese e dedicata ad Amy Winehouse, scomparsa proprio quella sera.
Se tradizionalmente Agosto, vede il chiuso per ferie quasi ovunque, da un pò di anni a questa parte non lo si può certo dire per concerti o attività live. E proprio Milano, tradizionalmente deserta verso Ferragosto, ha regalato diverse occasioni per gustare musica dal vivo. Si parte il primo di Agosto con gli Strung Out,storica band hardcore punk americana, che torna in Italia per una manciata di date. La tappa al Magnolia è un vero e proprio evento con un buon pubblico presente e di una performance di tutto rispetto. Da citare anche il gruppo spalla, gli Startoday, abruzzesi e autori di un ottima prova on stage. Da seguire!!!!
Al Carroponte di Sesto San Giovanni c'è l'evento clou del mese, con una due giorni, appena dopo Ferragosto davvero incandescente: NOFX e Flogging Molly.
La band di Fat Mike raduna 10000 persone circa  e da vita ad uno spettacolare revival di quelle sonorità che fecero breccia nel cuore di molti a metà anni Novanta, a metà tra sfuriate hardcore e cazzeggio vero e proprio, una via di mezzo tra un concerto punk e del sano cabaret d'oltreoceano. d'altronde i NOFX sono sempre stati cosi, prendere o lasciare.

Meno affluenza, ma un concerto altrettanto memorabile quello degli irlandesi "a stelle e strisce" Flogging Molly: due ore piene dove i Nostri hanno pescato a piene mani dalla loro discografia  ed ahnno dimostrato un energia incredibile, soprattutto grazie al loro leader Dave King, dalla grande voce ed a altrettanto grandi doti dialettiche, che ha preso per mano i presenti e li ha condotti idealmente nei peggiori pub di Dublino. Non dimentichiamo il gruppo spalla, gli Street Dogs, working class punk heroes che hanno dato vita anche loro ad un concerto onesto ed energico a metà tra Clash e Stiff Little Fingers!
Dopo una sbornia di musica come questa, l'autunno non offre grandi eventi a cui partecipare ed infatti riesco solamente a gustarmi dal vivo gli italiani Ministri , a mio avviso una delle migliori band in circolazione ed il piatto forte di metà ottobre: Sick of it All! La band newyorchese approda al Bloom di Mezzago per l'unica data italiana e metterà a ferro e fuoco il locale sotto i colpi violenti del buon vecchio hardcore. Una certezza, una delle poche rimaste ancora in attività, la band dei fratelli Koller si lascia andare ad un riassunto della loro carriera sfoderando il meglio della loro discografia mandando in delirio il pubblico accorso nel piccolo locale brianzolo!

Ed eccoci quindi all'epilogo di questo 2011,che devo dire mi ha decisamente soddisfatto dal punto di vista musicale, anche se ho il rammarico di non aver potuto assistere ad altri eventi (vedi i Black Crowes a Vigevano). Rimango in attesa degli eventi futuri per l'anno che verrà, anche se la ridda di nomi trapelati finora è davvero allettante...Springsteen, Rancid, Pearl Jam....a risentirci!









giovedì 8 dicembre 2011

The Magic of Youth The Mighty Mighty Bosstones (Rude Records 2011)












Giusto poche settimane fa mi imbattei in un intervista a Dicky Barret, cantante dei bostoniani Mighty Mighty Bosstones, dove gli si chiedeva appunto il perchè di un nuovo disco della sua band. La risposta fu un semplice "It's damn good!" e, dopo aver ascoltato The Magic of Youth non posso che dargli ragione.
Sicuramente lo skacore non ha più quel successo che ottenne negli anni Novanta, ma in mezzo a nuove leve o squallidi revival ecco tornare sotto le luci della ribalta i padrini indiscussi di questo genere, coloro che quasi trent'anni fa inventarono questo micidiale mix tra le ritmiche ska e le chitarre elettriche punk rock.
Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, ma l'ottetto bostoniano non mostra il fianco e ci regala quasi quaranta minuti di ottima musica, veloce, energica e con un tiro che solo le grandi band possono avere e che spazza via come uno tsunami,la maggioranza di bands presenti sul mercato skacore(magari più veloci e frenetiche...ma la potenza è nulla se non si ha il controllo!).
Il disco si apre con The Daylights, giro di basso e via in un trionfo di fiati e ritmiche sincopate che vi faranno muovere i piedi fino a stramazzare al suolo. La successiva Like a Shotgun è più legata alla scena skabeat inglese ed in più di un occasione mi ha fatto venire in mente i Jam di Paul Weller, magari in un improbabile incrocio con gli Specials d'annata. Disappearing gira su toni più rock steady, una piccola tregua prima della bolgia che trascinera l'ascoltatore in danze sfrenate. Il pezzo da Novanta, a mio avviso, è They Will Need Music con i suoi cori potenti e trascinanti e quell'atmosfera vagamente "Dixieland", potrebbe trasformarsi nella loro "When the Saints go marching in". Il resto dell'album scorre via che è un piacere ed è davvero positivo sapere che nonostante i quasi trent'anni di carriera, i MMB abbiano ancora cosi tante cartucce da sparare.
Quindi procuratevi il loro ultimo album e date inizio alla festa!!!
www.bosstonesmusic.com
www.myspace.com/themightymightybosstones

mercoledì 2 novembre 2011

Legacy of Brutality The Misfits (Caroline Records 1985)












Chi di voi non ha mai sentito Last Caress suonata dai Metallica? Cliff Burton aveva lo "Skull Fiend" tatuato sul braccio! I Guns'n'Roses dal vivo rifacevano sempre Attitude voluta fortemente da Duff Mckagan e i 69 Eyes da dove hanno preso il loro fascino goth-decadente?
Questo preambolo mi serve per introdurre i Misfits, storica punk band che più di trent'anni fa inizio la sua carriera, influenzando,e non poco, decine e decine di musicisti assurgendo cosi il titolo di "cult band".
Ma che cos'è una cult band? Fondamentalmente è un titolo di tutto rispetto che viene affibiato a quelle bands che, pur non vendendo milioni di dischi, sono conosciute grazie al passaparola e ad un intensa attività live. Tra gli estimatori vi sono sempre musicisti ben più famosi che li citano come fonti primarie di ispirazione, magari indossando qualche t-shirt durante i concerti.
Ma aldilà di questi cliches è la musica che deve essere messa in primo piano ed i Misfits, come moltissime altre cosiddette cult band, hanno una discografia essenziale ma diretta, ma soprattutto sono stati  i pionieri dell Horror Punk, mischiando garage, rock and roll, new wave ed un look originale che, col tempo, ha creato migliaia di proseliti.
I Misfits si formano verso la fine degli anni Settanta, iniziando a suonare un veloce e grezzo punk rock, fortemente influenzato dai Ramones, ma anche dal rock and roll anni Cinquanta e dal rockabilly, il tutto condito da testi che prendevano a piene mani dall'iconografia horror dei B-movies e dallo sci-fi.
La formazione vede alla voce Glenn Danzig, oscuro personaggio dotato di una voce caratteristica, greve e baritonale, molto vicina ed Elvis Presley e Jim Morrison; al basso Jerry Only che diverrà poi il leader e l'immagine del gruppo nella sua seconda reincarnazione;Jimmy Battle alla chitarra e Manny Martinez alla batteria(ma questi ultimi saranno spesso rimpiazzati da altri personaggi).
La loro discografia comprende diversi album e una moltitudine di singoli ed EP ed è per questo che per fare un pò di chiarezza sulla loro produzione prendo in esame questa raccolta, edita nel 1985 dalla Caroline Records, che non è altro che il loro primo album, Static Age, mai pubblicato per problemi legali con la vecchia etichetta.
La setlist è spettacolare con molti dei cavalli di battaglia dei Misfits che, ancora oggi, vengono riproposti dal vivo: Hybrid Moments, Some Kinda Hate, la tenebrosa e gotica Come Back e le irresistibili sfuriate punk rock di Angelfuck o Halloween.
La produzione è scarna ed in piena ottica garage, quindi non aspettatevi suoni puliti e perfetti, ma un sound ovattato e caotico che racchiude in meno di mezz'ora il fascino di questa oscura band.
Personalmente ho comprato da poco la copia originale di Legacy of Brutality, dopo che per anni ho consumato una vecchia cassetta malregistrata, per scoprire che anche l'originale non aveva questa grande nitidezza di suoni, ma come ho scritto sopra il bello dei Misfits è anche questo: una cult band da scoprire poco a poco, andando a ripescare vecchi Ep e polverose registrazioni recanti come effige il teschio ghignante dello Skull Fiend!
Little angelfuck
It's a shame that luck is the only thing
Did you like the fun
Did you like the times that I promised you

Open wounds on your brow
Little angel in red
She isn't lovin you anymore

Little angelfuck
I see you going down on a fireplug
Little angelfuck
Size for everyone

Let those bastards believe
Dry your eyes and we'll leave
She isn't lovin you anymore

Little angelfuck
I see you going down on a fireplug
Oh, little angelfuck
Size for everyone

Let those bastards believe
Dry your eyes and we'll leave
She isn't lovin you anymore

www.misfits.com
www.myspace.com/themisfits
Misfits Italia




lunedì 31 ottobre 2011

The Hunter Mastodon (Roadrunner Records 2011)












E' ormai un dato di fatto che il metal sia un genere che viva di rendita sui fasti ottantiani e tira avanti con le solite reunion dei Dinosauri che hanno sempre riempito i cartelloni dei festival più gloriosi. Ma è bello sapere che ,periodicamente, qualche novità che introduca un pò di freschezza ed innovazione ci sia sempre, tanto da far progredire un genere statico per antonomasia. Uno dei nomi di punta usciti in questi ultimi anni sono sicuramente i Mastodon, band americana che in poco tempo ha conquistato un ruolo primario nello stardom metal dell'ultimo lustro.
La band di Atlanta si è messa in evidenza grazie a capolavori come Leviatham e Blood Mountain, dove pur suonando un ibrido estremo tra sludge, hardcore e stoner, ha sempre pubblicato dischi originali, sfoderando una tecnica notevole e creandosi un immagine legata a visioni apocalittiche e mitologiche.
Ma con il penultimo Crack the Sky si denotava già un passaggio a sonorità più melodiche ed aperte con un parziale abbandono di vocals gutturali a favore di un cantato più pulito. Diciamo quindi che questo è il passo prima di The Hunter, ultimo album dei Mastodon e, probabilmente il primo di un nuovo corso per questa sorprendente band.
La composizione dei brani si snellisce e viene liberata dai numerosi passaggi strumentali e dai cambi di tempo come in passato: ora le canzoni sono strutturate in maniere più semplice e diretta, come nel caso della doppietta iniziale Black Tongue-Curl of the Burl, un mix tra Sabbath, Metallica e Queens of the Stone Age.
I due chitarristi macinano riff rocciosi e mai banali, mentre il drumming di Brann Dailor è sempre il marchio di garanzia Mastodon:veloce,tellurico ma estremamente versatile.
Anche l'utilizzo di soluzioni a più voci si rivela un ottima scelta, soprattutto in pezzi più "psichedelici" come Blasteroid o Stargasm. Le progressioni strumentali non sono state abbandonate, seppur il minutaggio delle canzoni si sia notevolmente abbassato, ma ora i Mastodon vogliono arrivare diretti al sodo, vogliono che i pezzi di The Hunter siano più assimilabili senza però cadere in facili tentazioni commerciali.
C'è spazio anche per momenti di estrema calma, come nella meravigliosa e cosmica titletrack, anche qui un ibrido tra i Pink Floyd ed il southern rock dei Lynyrd Skynyrd: se mai si dovesse mettere un etichetta ai Mastodon versione 2011 si potrebbe classificarli sotto il nome "Psychedelic Southern Rock" tanto questa fusione di stili suoni cosi bene.
L'unica concessione ai suoni abrasivi del passato la si trova in Spectrelight,dove anche il cantato è un urlo gutturale figlio degli echi sludge di quando i Mastodon dividevano i tour con gli High on Fire.
Ad ogni modo questo è un disco che divide: i fans oltranzisti arricciano il naso,mentre un pubblico sempre più vasto rimane affascinato dalle sonorità di The Hunter. Se si rivelerà capolavoro solo il tempo potrà dirlo, ma mentre io continuo ad ascoltarlo a ripetizione, si fa sempre più strada il pensiero verso un altra band che trent'anni fa iniziò come fulgida promessa dell'underground, rompendo tutti gli schemi, per poi pubblicare un disco con una copertina tutta nera e conquistare il mondo....ai posteri l'ardua sentenza!
www.mastodonrocks.com
www.myspace.com/mastodon

mercoledì 26 ottobre 2011

Sink or Swim The Gaslight Anthem (XOXO Records 2007)












Circa un anno fa, quando decisi di aprire questo blog, la scintilla che fece scaturire questa malaugurata decisione fu il concerto che i The Gaslight Anthem tennero a Milano ad ottobre. Dopo svariati anni si riaccese in me la voglia di parlare e condividere con altri, stralci di buona musica, perchè proprio i TGA risvegliarono in me quella voglia di rock and roll che si ha quando si è sbarbati e che si era sopita per diverso tempo, prigioniera della routine, del "giàsentito" e di quell'appiattimento generale figlio della musica digitale dell'era Internet.
Con i The Gaslight Anthem era tutto diverso, ecco ritornare il bisogno di approfondire gli ascolti dei loro album e di far girare il caro e vecchio vinile nello stereo, magari tenendo stretta la copertina tra le mani.
Le prime recensioni ( ok chiamiamole cosi...) furono proprio il loro bestseller 59 Sounds ed il successivo American Slang ed oggi mi sembra doveroso chiudere il cerchio con il loro debutto discografico.

Sink or Swim è veloce, diretto, sognatore ed ingenuo, ma sotto la superficie troviamo molto di più, troviamo il songwriting di Brian Fallon in fase embrionale, il suo cantato roco ed incertoche diventerà un trademark della band, cosi come i testi, vere e proprie fotografie di "american life" fatta di Highways, macchine veloci, amori, sogni e promesse.
Molti lo hanno definito punk rock forse per il modo di proporsi cosi diretto, ma nelle dodici tracce troviamo tanto rock americano, Bruce Springsteen su tutti a benedire una band che in poco più di mezz'ora darà inizio ad un ibrido che diverrà un vero e proprio genere musicale nei successivi tre anni.
L'opener Boomboxes and Dictionaries potrebbe esserne il manifesto con il suo ritmo incalzante ed un chorus che chiede solo di essere cantato senza freni inibitori e poi via con le successive Wooderson, We Came to Dance  ed il tributo ad un altra icona rock per eccellenza: Joe Strummer. In  I'd called you Woody(il nickname di Strummer agli esordi) Fallon e soci regalano un tributo sincero a chi ha ispirato il loro lifestyle e la loro attitudine, magari con l'ingenuità della gioventù e della "prima volta", ma a chi come me è è cresciuto a "pane e Clash" non può non scendere una lacrimuccia sui versi di questa canzone.
And I never got to tell him so I just wrote it down,
I wrapped a couple chords around it and I let it come out,
When the walls of my bedroom trembled around me,
To this ramshackle voice over attack of a bluesbeat,
And a girl, on the excitement gang.
That was the sound of the very last gang in town.

Ma il riassunto di tutta questa frenesia giovanile è  nella veloce Drive, il traite d'union con quello che sarà, ad oggi, il loro capolavoro 59 Sounds: il tema del viaggio come fuga dalla noia di provincia e con la voglia di vivere la vita, senza rifugiarsi nel disagio che ha sempre contraddistinto molti esponenti della scena punk rock, ma con la consapevolezza che l'allontanarsi dalla quiete dallla cittadina può solo portare a nuove esperienze e ad una crescita interiore.
And we're much too young of men
To carry such heavy heads
And tonight for the first time
It felt good to be alive
And we're much too young of men
To carry such heavy heads
And tonight for the first time
It felt good to be alive again, my friend
Consiglio a tutti di andare a ripescare questo disco d'esordio dei TGA perchè oltre a completare la conoscenza della loro, finora breve, discografia, regala attimi davvero belli ed intensi e sarebbe riduttivo relegarlo come episodio minore della loro carriera.

sabato 15 ottobre 2011

Blood Sugar Sex Magic Red Hot Chili Peppers (Warner Bros Records 1991)












Se gli anni Novanta sono stati un decennio di rinascita per la musica alternative/rock lo si deve sicuramente anche alle quattro parole chiave dei Red Hot Chili Peppers: Sangue,Zucchero,Sesso e Magia! Più di un ora di vero crossover, una miscellanea di stili  che parte dai sobborghi di Los Angeles per conquistare il mondo a suon di singoli, ma soprattutto ha sdoganato una band come i RHCP, da semplice promessa dell'underground a vere rockstar affermate.
Ma partiamo dalla gestazione di questo album, travagliata e drammatica,per via della morte del chitarrista Hillary Slovak, ma anche per la vita dissoluta dei Quattro Peppers, persi tra dipendenze e party selvaggi. L'ingresso in line up del chitarrista John Frusciante porta nuova linfa compositiva, ma il tocco magico lo dispensa un certo Rick Rubin, vero guru della consolle e proprietario di una delle label discografiche più cool del momento. Il barbuto producer prende i quattro musicisti, li rinchiude in una villa lontano dalle sirene losangeline e li spreme a fondo, tirando fuori, non senza tensioni, il loro estro migliore e realizzando un album superbo con una gamma di suoni incredibile.
Ascoltando le diciassette tracce si nota come voce, basso, chitarra e batteria(si solo questi..l'essenza del rock and roll!!!) riescano a ritagliarsi i loro spazi all'interno della canzone, gli uni senza sovrastare gli altri, innescando un meccanismo semplicemente perfetto. Il basso di Flea è un dinamico cuore che pulsa e dona l'anima  ai pezzi; la batteria di Chad Smith è quella spina dorsale che sorregge il peso delle composizioni, scarna ma essenziale; Frusciante, il nuovo arrivato non è un virtuoso, giammai, ma riesce ad esprimere il suo meglio creando uno stile che è sempre stato sottovalutato da tutti ma estremamente personale. Ed infine Anthony Kiedis, il frontman che compie il salto di qualità, non limitandosi solo a rappeggiare sui ritmi indiavolati di Flea e compagni, ma scoprendo di aver una gran voce ed iniziando a sfruttarla come nonmai, gettando cosi le fondamenta per il decennio successivo.
Ed ecco compiuta la Magia (MAGIK) a completare un album che ha venduto più di dodici milioni di copie creando uno stile unico: dall'iniziale funky Power of Equality fino al finale sgangherato di They're Red Hot c'è davvero tanta carne al fuoco. Una sfilza di singoli a partire da Give it Away o Suck My Kiss veri manifesti di crossover tra rock e funk, in perenne rotazione su MTV nonostante i testi espliciti  che varranno il bollino della censura sui dischi. Il sound è intenso, sanguigno (BLOOD), il basso che pulsa e scandisce il ritmo e fa venire voglia di saltare, dimenarsi, cercare contatto fisico guidati da un Kiedis che incita ad una  frenetica libertà sessuale(SEX)
Lucky me swimmin' in my ability
Dancin' down on life with agility
Come and drink it up from my fertility
Blessed with a bucket of lucky mobility

( Give it Away)

Hit me you can't hurt me
Suck my kiss
Kiss me please pervert me
Stick with this
Is she talking dirty
Give to me sweet sacred bliss
Your mouth was made to suck my kiss

(Suck my Kiss)

Blush my lady when I tell her
The I do indeed love to smell her
Sopping wet your pink umbrella
Do the dog with Isabella 

 (Mellowship Slinky in B Major)
Ma i momenti più riflessivi non sono da meno come nell'intima I Could Have Lied o in quel gioiello di Under the Bridge, forse la canzone che, più di tutte i Peppers tramanderanno ai posteri: dall'indimenticabile arpeggio iniziale e dall'inconfondibile cantato di Kiedis che mai come in questa canzone mette a nudo i suoi fantasmi legati alla tossicodipendenza, ma scrive anche una grande canzone d'amore verso Los Angeles, la sua città, tanto bella e gratificante quanto pericolosa e tentatrice.
Sometimes I feel
Like I don't have a partner
Sometimes I feel
Like my only friend
Is the city I live in
The city of angels
Lonely as I am
Together we cry

I drive on her streets
'Cause she's my companion
I walk through her hills
'Cause she knows who I am
She sees my good deeds
And she kisses me windy
I never worry
Now that is a lie

I don't ever want to feel
Like I did that day
Take me to the place I love
Take me all the way

It's hard to believe
That there's nobody out there
It's hard to believe
That I'm all alone
At least I have her love
The city she loves me
Lonely as I am
Together we cry

I don't ever want to feel
Like I did that day
Take me to the place I love
Take me all that way

Under the bridge downtown
Is where I drew some blood
Under the bridge downtown
I could not get enough
Under the bridge downtown
Forgot about my love
Under the bridge downtown
I gave my life away
Sicuramente Under the Bridge è la canzone che da più visibilità ai RHCP, li lancia sul mercato e sulla heavy rotation di MTV, grazie anche alla sua aurea pop (SUGAR) che viene apprezzata anche da chi, è estraneo ai circuiti alternative/rock.
Tra gli altri episodi di BSSM  vorrei citare la titletrack, la più hard rock oriented del disco, un vero tributo ad Hendrix, con un fantastico assolo centrale di Frusciante che fuga qualsiasi dubbio sulle sue capacità creative; mentre Breaking the Girl,  è molto hippie e folkish con un particolare uso delle percussioni che la rende coinvolgente e ritmata, a dispetto di un testo che è l'ennesimo sfogo di Kiedis nei confronti del padre, reo di averlo iniziato ad una vita dissoluta fatta di droghe ed amori facili ( A tal proposito consiglio la lettura di Scar Tissue, la biografia del cantante).
In conclusione mi sento sicuro nell'affermare che BSSM sia uno dei manifesti musicali/culturali degli anni Novanta, al pari di Nevermind, Out of Time o Ten. Un disco pressocchè perfetto che lancerà i Peppers verso una sfolgorante carriera, ma che sancirà anche la fine del loro periodo rock a favore di soluzioni estremamente commerciali più vicine al mainstream pop come Califonication o By the Way, dischi vendutissimi ma che hanno snaturato la vera essenza che permeava i Red Hot Chili Peppers.

www.redhotchilipeppers.it
 www.myspace.com/redhotchilipeppers



sabato 8 ottobre 2011

Borrowed Time Nothington (Red Scare Records 2011)












Meno di un mese fa scrissi la recensione di Roads, Bridges and Ruins, secondo lavori dei californiani Nothington, indicandolo come uno dei migliori dischi punk rock degli ultimi anni. Non è ancora scesa l'euforia per questo disco che, ecco uscire sul mercato il suo seguito ( ricordo che RBaR è datato 2009) intitolato Borrowed Time e dopo averlo ascoltato a ripetizione nelle ultime settimane mi appresto a scrivere il mio giudizio.
Parto subito col dire che questa nuova release è leggermente inferiore al suo precedente: vuoi per l'effetto sorpresa ormai scemato, vuoi per la mancanza di "highlights"di impatto come in Roads..., ma comunque la qualità dei pezzi rimane alta e la voglia di far ripartire il cd da capo permane anche dopo svariati ascolti.
L'opener Captive Audience è l'ideale per aprire le danze e sembra che Roads,Bridges and Ruins non sia mai terminato, tanto lo stile e la qualità siano cosi legati a quel capolavoro. Le Les Paul della coppia Northington/Matulich tessono riff incendiari ben supportati da una linea di basso dinamica e melodica, mentre la voce greve dello stesso Jay Northington da quel tocco di in più che ha sempre contraddistinto questa band.
Proseguendo nell'ascolto non si possono non menzionare Far to Go caratterizzata dall'alternarsi al cantato tra Nortington e Matulich (quest'ultimo con una voce dall'impostazione più melodica) e dal chorus che ti si stampa in testa dopo un ascolto e End of The Day, dai ritmi più lenti e con un incedere drammatico che sa di tante lacrime e sudore. Sicuramente se riproposte dal vivo faranno sfracelli sotto palco.
Un particolare dei Nothington che ho sempre apprezzato è quello di raccontare la realtà nuda e cruda, sbattendo in faccia le brutture e le alienazioni derivate da questa società. The Escapist, traccia numero sei, parla di tossicodipendenza ("These conversation is fuckin killing me/I'm an escapist and nothing comforts me") e abbandono ed è l'ennesimo pezzo da novanta sfoderato dalla band californiana, che affonda poi il colpo con St.Andrews hall e Hopeless, potente ballata scritta proprio per la voce graffiante di Jay.
L'impressione generale avuta dopo svariati ascolti è che i Nothington versione 2011 abbiano trovato il loro equilibrio, grazie anche al disco precedente che ha tracciato un solco non indifferente.
Attenzione però: non giudico questo Borrowed Time come un episodio minore o di seconda scelta, anzi, come ho scritto all'inizio la qualità è davvero alta e fa passare in ombra gran parte delle uscite di quest'anno in ambito punk rock. Senza stravolgere il loro sound e le loro certezze, i Nothington hanno migliorato alcuni aspetti della loro precedente produzione, confezionando un album più lineare e compatto pronto da essere messo on the road, la miglior prova per testare la buona riuscita di un disco!!!
recensione Roads,Bridges and Ruins
www.myspace.com/nothington
www.facebook.com/nothington

lunedì 26 settembre 2011

Temple of The Dog - Temple of the Dog (A&M Records 1991)

















Wanna show you something like
The joy inside my heart
Seems I've been living in the temple of the dog
Where would I live, if I were a man of golden words?

(Man of Golden Words-Mother Love Bone)
Siamo a Seattle, periodo fine anni Ottanta e c'è molto fermento nella scena musicale, che a dire il vero è sempre stata molto attiva in questo ambito, nonostante non sia una metropoli come Los Angeles o New York. Tra le bands che più si mettono in mostra in quel periodo si notano i Mother Love Bone, un ottima ed originale hard rock band, guidata da un personaggio, nel vero senso del termine, chiamato Andrew Wood. Grazie al suo carisma, la comunità rock si catalizza intorno alla sua figura, si organizzano serate, jam session, concerti e la diffusione di idee e musica tra le band di Seattle è reciproca. Qualcosa di nuovo sta nascendo.
Ma Wood ha un brutto vizio che si chiama eroina e la notte  del 16 marzo 1990 il suo cuore cessa per sempre di battere in seguito alla solita e maledetta overdose. I MLB si sciolgono e dopo un periodo di transizione Stone Gossard e Jeff Ament, rispettivamente chitarra e basso, decidono di ritornare a suonare e riformare una band.
Nel frattempo uno dei migliori amici di Wood, Chris Cornell,cantante dei Soundgarden, decide di realizzare un tributo all'amico scomparso, mettendo in musica alcune canzoni che aveva scritto subito dopo la morte del cantante con l'intento di realizzare un EP a scopo benefico.
Proprio gli ex MLB Ament e Gossard vengono reclutati e si inizia a provare e registrare e, come la buona tradizione vuole quando ottimi musicisti si incontrano, le idee vengono ampliate ed il semplice EP diventa un disco vero e proprio capace di diventare un oggetto di culto negli anni a seguire.
L'iniziale Say Hello to Heaven è il personale tributo scritto da Cornell al suo amico scomparso, è una ballata elettrica che deve tanto ai Mother Love Bone quanto al padrino musicale di Seattle, Jimi Hendrix. Le parole scritte da Cornell sono tanto sincere quanto toccanti e proprio il cantante  dei Soundgarden raggiunge picchi elevatissimi con la sua voce.
La successiva Reach Down è un granitico hard rock blues che dura oltre i dieci minuti e la band dà libero sfogo alla propria velleità musicale, infarcendola di assoli inframezzati da parti slow e parti più tirate. Proprio in questo pezzo la parte del leone la fa Mike McCready, futuro chitarrista dei Pearl Jam.
Il singolo estratto da questo album è Hunger Strike, forse il pezzo più famoso, ma anche quello più semplice e diretto: una ballad elettrica costruita su un arpeggio iniziale e semplici accordi, mentre la strofa viene ripetuta quattro volte in un continuo crescendo tra l'alternarsi delle voci di Chris Cornell e di uno sconosciuto surfer di San Diego, Eddie Vedder, da poco entrato nella embrionale line up dei Pearl Jam, ormai prossimi anche loro al debutto discografico.
E proprio nella successiva Pushin Forward Back, scritta da Gossard e Ament, esce la vena musicale che caratterizzerà proprio i Pearl Jam: una potente cavalcata hard rock con il trademark del suono che renderà famosa Seattle negli anni a venire.
La malinconica Call me a Dog è un altro highlight dell'album: una meravigliosa ballad dal sapore southern impreziosita dagli arrangiamenti di piano e da un Chris Cornell che va a toccare le corde emotive dell'animo.
But when it's my time to throw the next stone
I'll call you beautiful if I call at all
And when it's my time to call your bluff
I'll call you beautiful or leave it alone
You call me a dog
Well that's fair enough
It doesn't bother me as long as you know
Bad luck will follow you
If you keep me on a leash and
You drag me along

La successiva Times of Trouble, oscura e malinconica ballad è la personale denuncia di Cornell contro l'eroina, un demone che ha strappato la vita ad un amico e purtroppo nel corso degli anni mieterà molte altre vittime illustri all'interno della comunità di Seattle.
Anche qui Cornell si lascia andare ad una lucida e spietata condanna verso l'arrendevolezza ed il buttarsi via nei confronti di chi spezza la propria vita con l'eroina. L'esperienza di Andrew Wood  lo ha toccato nel profondo e le sue parole sono più dirette che mai.
When the spoon is hot
And the needle's sharp
And you drift away
I can hear you say
That the world in black
Is upon your back
And your body shakes
So you ditch away
And you close the shades

Don't try to do it
Don't try to kill your time
You might do it
Then you can't change your mind
You've got a hold on to your time
Till your break through these
Times of trouble
I saw you swinging
Swinging your mother's sword
I know you're playing but
Sometimes the rules get hard
But if somebody left you out on a ledge
If somebody pushed you over the edge
If somebody loved you and left you for dead
You got to hold on to your time till you break
Through these times of trouble

Dopo un pezzo così, il disco ha un calo di intensità e si ha l'impressione che i restanti brani siano più una questione di minutaggio, tanto sono deboli rispetto alla prima parte, anche se la "prison song" Four Walled Wall si lascia ascoltare volentieri ed aiuta ad arrivare in fondo all 'album.
Dopo questa esperienza estemporanea le carriere di Soundgarden e Pearl Jam decollarono rendendoli protagonisti dei tanto travagliati anni Novanta, ma il ricordo di questo tributo e soprattutto di Andrew Wood rimarrà indelebile nei cuori dei musicisti, tanto che, a distanza di anni la sua memoria è ricordata da tutti con sincero affetto e commozione, come lo dimostra l'esecuzione dal vivo di qualche perla dei Temple of the Dog durante i set di PJ e Soundgarden....Say Hello to Heaven...Andy!!!
I never wanted
To write these words down for you
With the pages of phrases
Of things we'll never do
So I blow out the candle, and
I put you to bed
Since you can't say to me
Now how the dogs broke your bone
There's just one thing left to be said
Say hello to heaven


sabato 17 settembre 2011

Elsie The Horrible Crowes (SideOneDummy 2011)











“I was a man of great sympathy when I loved you baby/ But tonight all my sympathy is gone
Istruzioni per l'uso: prendete la vostra copia in vinile di questo album, fatelo girare sul piatto lasciando che la musica si diffonda nell'ambiente, prodigatevi di aver abbassato per bene le luci e di aver a portata di mano le sigarette ed un buon rum invecchiato e dal  sapore forte. Ecco ora siete pronti per immergervi nell'ascolto di Elsie, il primo lavoro degli Horrible Crowes.
A molti questo monicker potrà dire meno di zero, ma dietro questo bizzarro nome si cela la figura di Brian Fallon, non solo mente dei The Gaslight Anthem, ma anche uno dei migliori songwriter in circolazione. Ad accompagnarlo in questa avventura "quasi" solista, l'amico di lunga data e roadie dei TGA Ian Perkins che si cimenta con chitarre, percussioni ed Hammond.
Dopo aver dato le fondamentali nozioni tecniche, immergiamoci in questo lavoro davvero affascinante e ricco di spunti, un disco pensato a lungo, lontano dai soliti side-project che nascono dalle sbronze tra compagni di tour, ma che viene concepito come tributo alle atmosfere noir e decadenti di Lou Reed, Tom Waits, Nick Cave, Dylan,Mark Lanegan e lo Springsteen più cupo e solitario.
Ma Fallon ha una grande arma da giocare: la sua incredibile capacità di comporre canzoni  vere, di tramutare in parole esperienze reali che ha passato sulla propria pelle. E viene da pensare quanto abbia da dire, nonostante la sua giovane età. E vien da pensare come il suo songwriting sia cosi maturo e profondo, cosi vibrante e sincero tanto da far smuovere il Boss in persona per passargli il testimone di "storyteller" americano.
Questo non è un disco da singoli episodi ( nonostante il primo estratto,la "springsteeniana" Behold the Hurricane" sia un pò più easy listening), ma è un lungo viaggio dove Fallon mette a nudo se stesso e racconta il suo personale vortice tra amori infranti, dipendenze ed una vita da strada percorsa chilometro dopo chilometro, fino alla redenzione finale, ad una ritrovata fede in qualcosa di superiore che lo ha rimesso in carreggiata.
La sua voce, a volte cupa, a volte sgraziata e spezzata dalla disperazione è forse lo strumento migliore di tutto l'album, il vero termometro degli umori sviscerati canzone dopo canzone. Andate ad ascoltarvi  Go Tell Everybody o Cherry Blossom e sentirete i vostri timpani lacerarsi mentre aleggia nell'aria il fantasma di Tom Waits. Poi fatevi medicare da Black Betty and The Moon e Blood Loss e godetevi l'ultimo tiro di sigaretta sulle note di I Believe that Jesus Brought Us Togheter, ecco li capirete che che Elsie lascia il segno e sconvolge le emozioni.
Certo i fans dei Gaslight Anthem non troveranno il (punk) rock dei loro beniamini, ma in questo album c'è molto più rock che in altri luoghi dove viene cosi facilmente sbandierato. Qui c'è un attitudine vera ed onesta che vi affascinerà se solo avrete voglia di andare sino in fondo!
www.thehorriblecrowes.net
thehorriblecrowes.blogspot.com
www.cassettesinthemailbox.blogspot.com ( è il blog personale di Brian Fallon)

giovedì 1 settembre 2011

Nevermind Nirvana (Geffen Records 1991)











Esattamante vent'anni fa  faceva capolino nei negozi la copertina di questo album, raffigurante un neonato che nuotava nel blu inseguendo una banconota. Era la cover di Nevermind, il secondo album dei Nirvana, destinato a vendere venticinque milioni di copie e diventare un manifesto generazionale degli anni Novanta.
La band, un trio guidato dal cantante e chitarrista Kurt Cobain, autore di musica e testi, dal bassista Kris Novoselic e da uno sconosciuto Dave Grohl alla batteria, qualche anno prima si era fatta conoscere nell'underground indie-punk grazie al debutto Bleach, un disco rozzo ed abrasivo, ma con buone idee che devono essere ancora sviluppate.
Con Nevermind si raggiunge la perfezione, confezionando un album diretto e semplice, con melodie che strizzano l'occhio al pop, ma rimangono ben salde al background rock della band.
Inutile dire che da questo disco vengono estrapolati numerosi singoli ed i relativi video vengono passati in heavy rotation sui principali canali musicali, MTV docet, catapultando i Nirvana, da semplice band del circuito indie a rockstar di livello mondiali capaci di riempire arene e festival.
Ma grattando la superficie "patinata" di questo disco ( complice una produzione superlativa di Butch Vig) si scopre che c'è molto di più di una manciata di singoli da alta classifica, c'è qualcosa di vero, che nasce più che dal cuore, dalla pancia di un musicista che la vita ha irrimediabilmente segnato e, grazie alla  musica riesce a sfogare il  malessere e la  rabbia. Le sue emozioni, suo malgrado, diverranno il manifesto di una generazione frustrata e disagiata e Kurt Cobain sarà il simbolo di questa nuova rivolta che parte dal basso, dalle provincie americane più oscure per poi espandersi un pò ovunque.
Smells like teen Spirits è la canzone simbolo, pochi accordi che deflagrano in una violenta quanto coinvolgente rabbia collettiva, come testimonia il videclip. Here we are now, entertain us ovvero "Eccoci qui, fateci divertire" urla Kurt Cobain; il grido disperato di chi si è arreso alla noia ed alla alienazione.
Lithium, In Bloom, Come as You Are sono i successivi singoli destinati a passare alla storia, soprattutto quest'ultima costruita su un giro di basso immediato che farà breccia in molti,a dispetto di un testo cupo che parla della difficoltà di instaurare rapporti con il prossimo da parte di Kurt Cobain.
Per trovare l'impatto e la violenza sonora però ci si deve buttare in Breed e Territorial Pissings, dove la batteria di Grohl sovrasta tutto, tanto è tellurica e le urla di Cobain sono lancinanti, soprattutto nella seconda con quel grido disperato Gotta Find My Way.
Nel disco ci si imbatte anche in passaggi più intimi, acustici dove l'angoscia si fa strada come in Polly,semplici frasi smozzicate per raccontare uno stupro o la finale Something in the Way dove Cobain mette a nudo tutto se stesso con parole sussurrate e leggeri accordi di chitarra accompagnati da un mesto violoncello. Questo pezzo è una lenta discesa verso l'oblio, la chiusura di un album che a dispetto del suo successo e della sua commerciabilità nasconde tutta l'inquietudine di un uomo.
E da questo successo cosi improvviso che la rabbia del cantante aumenta, le sue canzoni sono un modo per lui di mettere a nudo le sue angosce e le frustrazioni, ma vedendole cosi mercificate la reazione è quella di totale rifiuto, rinchiudendosi sempre più in se stesso e nelle sue dipendenze.
Nevermind è diventato un icona della musica, il manifesto dei Nineties e di quel "grunge" che andava cosi di moda. Nei suoi solchi migliaia di giovani hanno trovato le stesse irrequietudini , le stesse paure e le difficoltà di affrontare il mondo, ma soprattutto hanno trovato qualcosa di vero, sincero in cui rispecchiarsi ed immedesimarsi. La storia si ripete, come quindici anni prima il punk rock aveva scosso le masse con la stessa formula, nel 1991 ecco la scintilla che fa ripartire l'incendio.
Pietra miliare.....
http://www.nirvana.com/
http://www.nirvanaitalia.com/
www.myspace.com/nirvana

martedì 23 agosto 2011

Road, Bridges and Ruins Nothington (BYO Records 2009)












Onestamente fino a qualche settimana fa questi Nothington erano dei perfetti sconosciuti per me, ma il mio intrresse nei loro confronti è aumentato giorno dopo giorno man mano che il loro cd continuava a girare ininterottamente nel mio stereo.
Di loro si sa che provengono da San Francisco, che si sono formati verso la fine del 2006 grazie a Jay Northington(voce e chitarra) e Gabe Lindmen(batterista) provenienti da altre esperienze in ambito punk-hardcore durante il primo lustro del nuovo secolo ed hanno gia all'attivo un album datato 2007.
Questo è il loro secondo album, una mezzora abbondante di ottimo punk rock che spazia anche nell'hardcore melodico, ma soprattutto un lotto di canzoni intense ed emozionanti, un disco che, una volta ascoltato, lo si vuole fare proprio,possederlo, studiarlo, parlarne ed impararlo a memoria, sperando che la band passi in tour vicino casa per andare a vederli dal vivo.
A Mistake è l'opener ideale, da energia e coinvolge sin dal primo ascolto. Le successive If You Say So, Another Day e Not Looking Down sono un terzetto veloce, giocato su riff di chitarra che inseguono il cantato di Jay, la sua voce roca, in bilico tra Mike Ness e Tom Waits è il giusto compendio tra rabbia e melodia, ben supportata dalle backing vocals, pulite che fanno da contrasto e danno profondità ai pezzi.
Musicalmente i Nothington mi ricordano molto i Leatherface, band sottovalutata ma dal grande talento, ma anche i primi Social Distorsion ed i Face to Face, ma alla resa dei conti i Nothington suonano come ..i Nothington. Questo è il punto! Hanno un sound dannatamente personale tanto quanto  coinvolgente.
Stop Screaming è l'unica concessione a ritmi più cadenzati, prima di entrare nella parte più calda del disco: The Ocean e This Conversation Ends sono i gioielli  più preziosi di questa collezione, due songs che sembrano costruite apposta per lanciarsi sotto il palco per cantarle a squarciagola, linee melodiche semplicemente irresistibili giocate sull'alternarsi delle due voci e da cori che chiedono di essere liberati.
Quanta rabbia in queste canzoni, testi pervasi da sano nichilismo, alienazione  e solitudine, caratteristiche perfettamente amalgamate con il sound di una band che non lascia scampo.
Build your house of cards so high
Your blind ambitions just like mine
You knew this story had an end
It's pointless to pretend
Looks like it's over now
Count the days out loud
Don't look back at all
I can't catch you if you fall
It's not a choice I made
There's nothing left to say
Just give it up somehow

 Il finale nulla toglie e nulla aggiunge alla bellezza di questo album, che vi consiglio caldamente di procurarvi affinchè questi piccoli capolavori non passino inosservati. E adesso attendo l'imminente seguito!
www.myspace.com/nothington
www.facebook.com/nothington

















giovedì 18 agosto 2011

Within a Mile from Home Flogging Molly (SideOneDummy Records 2004)











Qualche post fa avevo parlato dei Flogging Molly e del loro masterpiece Drunken Lullabies ed ecco che , a distanza di un mese, ripropongo nuovamente la folk punk band losangelesina con il seguito Within a Mile of Home datato 2004.
L'album in questione disegna una personalizzazione nel suono della band, con l'aggiunta di elementi nuovi, un taglio più rock di alcuni pezzi ed in generale una maggior articolazione dei brani, con testi ancora più belli e profondi. Se con un disco, seppur bello  come DL, i Flogging Molly si erano imposti sulla scena, con questo album vogliono consolidare la loro posizione pur facendo progredire il loro sound, rendendolo ancora più unico
Di carne al fuoco ce ne è davvero molta e lo si denota anche dalla lunghezza del cd che sfora i cinquanta minuti. L'opener Screaming at the Wailing Wall è di impatto e percorre la scia di quella Drunken Lullabies che era il singolo trainante del capitolo precedente: Ritmiche veloci dall'impatto assicurato, muro di chitarre elettriche per una Punk-folk song  da pogo assicurato.
La seguente Seven Deadly Sins è la classica song sguaiata che i Pogues avrebbero voluto scrivere, ma che i "Sette Pirati" dell'ammiraglia Flogging Molly hanno reso loro issando il Jolly Roger sul pennone più alto. Tra l'altro il tema del mare e delle scorribande piratesche è spesso ripreso all'interno della discografia dei FM, grazie anche al contributo del bassista Nathan Maxwell, che compone spesso pezzi ispirati al mare( In questo cd segnalo Queen Ann's Revenge).
Factory Girls è una bella ballata countryeggiante, impreziosita dalla voce di Lucinda Williams che duetta insieme a Dave King, una canzone che da speranza alle Working Classes ed alle Working Girls di tutto il mondo.
Se le due ballad Whistles the Wind e The Light of a Fading Star ci riportano la mente in pub fumosi della natia Irlanda, dove una buona pinta può scaldare il cuore e levigare le intemperie dell'animo, è con To Youth (My Sweet Roisin Dubh) che ci imbattiamo in un gioiellino di stupefacente intensità emotiva: una folk song impreziosità da tanta elettricità punk, ma che ha la musica e le parole che solo la tradizione poplare irlandese può snocciolare:
Tell me why must our peace be this puzzle
That fractures the land, splinters war
The last nails cite the shame in our coffin
But in the end we must all die alone

So it's to youth I sing you this story
And it's of youth I sing it now
Like the train that derails without warning
Some must leave what they left far behind
So goodbye, sweet Roisin Dubh, I say goodbye


Proseguendo nell'ascolto ci imbattiamo in un altro highlight dell'album: Tobacco Island, dove il legame di Dave King con la sua terra natia, l'Irlanda si fa ancora più forte. La canzone narra dei tanti deportati irlandesi, che grazie alle leggi di Cromwell, venivano spediti su navi in condizioni pietose, nelle Barbados per i lavori forzati.
La matrice folk qui è davvero marcata, un naturale filo che ci conduce ai lavori precedenti,ma arrivando alla titletrack,ci si imbatte in sonorità nuove, più similmente rock, in uno dei pezzi più intensi dell'album, con la parte finale davvero irresistibile:
Don't turn your back on me, don't ever let me down"
She said, "I picked you up each time before you hit the ground
Your selfish face is now erased when someone mentions you
If only you had seen what I now see
And turned the corner where you would of been
Within a mile of home, within a mile of home"

Ormai il cd sta volgendo al termine, non prima di regalarci una ballata crepuscolare come Don't Let me Die Still Wondering, bellissima ed intensa, malinconica e pregna di significati, un tributo ad un passato da guardare senza rinpianti e rancori. Un tributo ai ppersonaggi che hanno formato la tempra di Dave King: Johnny Cash e Joe Strummer...e proprio alla loro memoria viene posto l'epitaffio di questo album.
So don't let me die still wondering
What it was I left behind
I want a race well run ahead of the gun
With a dance before the far finish line
So no life long regrets, only well feathered steps
Until these shoes I can longer shine
But don't let me die still wanderin'
For the love I left behind

Purtroppo Within a Mile of Home è stato sottovalutato all'epoca e tutt'ora viene considerato un lavoro minore, come tutti i dischi di transizione. Meno diretto del suo predecessore e probabilmente troppo lungo, tanto che arrivare in fondo a volte può essere davvero faticoso. Ma all'interno ci sono ottimi pezzi, suonati anche dal vivo e soprattutto ci sono le basi per l'evoluzione del sound dei Flogging Molly, il suono che avrà quelle caratteristiche per cui ora sono una delle punte di diamante del movimento Folk-punk e che ha tolto loro quell'etichetta di epigoni dei Pogues.
www.floggingmolly.com
www.myspace.com/floggingmolly



martedì 16 agosto 2011

Calavera The Wavers (La Frequenza 2011)












I Wavers da Cantù sono una delle migliori formazioni surf and roll della Nostra Penisola e, grazie a questa nuova release, lo dimostrano ancora di più proponendoci una buona mezzora di sano sound festaiolo da spiaggia hawaiana, tanto per rimarcare che anche in Brianza ci si può divertire in un assolato pomeriggio di metà agosto!
Si parte con un intro dal sapore "Morriconiano" per poi gettarsi nelle danze sfrenate di King of San Felipe, uno dei tanti strumentali presenti nel cd, come la tradizione surf vuole! Pezzi veloci e coinvolgenti, un ideale colonna sonora per un party a bordo piscina, anche se i Wavers sono molto di più, basti ascoltare la riuscitissima versione di Guarda che Luna, che potrebbe tranquillamente fare da soundtrack a qualche film di Tarantino, oppure andate alla traccia numero dodici: Heaven, un riuscitissimo medley tra Stairway to Heaven e My Guitar Gently Weeps  in versione surf.
Le tracce che hanno parti cantate sono tre, dalla "beachboysiana" Surf me Baby, passando al rock and roll swing di Just a Party, fino alla filastrocca da B-movie di Twist of the Beast.
Tenete d'occhio questa band perchè è davvero valida ed originale, una delle punte di diamante del movimento surf della nostra penisola e non solo.
Saluti dal Brianza Beach Party!
www.myspace.com/thewavers
www.facebook.com/thewavers
www.lafrequenza.com (label e booking made in Cantù!)



venerdì 12 agosto 2011

Tabula Rasa Elettrificata C.S.I. (Universal Music 1997)











Partiamo da un viaggio che fecero Zamboni e Ferretti verso la metà degli anni Novanta in Mongolia, un viaggio che cambia la testa e lascia dentro tanto su cui riflettere, soprattutto su due grandi pensatori che hanno contribuito a scrivere grandi pagine di musica e di cultura.  Ormai il comunismo che aveva dato ispirazione ai CCCP è morto e sepolto ed è ora di vagare per quelle terre cosi lontane e decadenti per estraniarsi ancora una volta dalla società consumistica e purificare la mente: dagli appunti di viaggio nasce un libro prima, ed una trasposizione musicale poi, che trova forma in questo album.
T.R.E. è un disco complesso, dalle tante sfaccettature, un lavoro che richiede grande attenzione soprattutto nel seguire il filo conduttore che si dipana lungo il concept, ma anche le trame musicali non sono da meno: la mente Maroccolo con il suo basso intreccia trame su cui possono sbizzarirsi il duo Zamboni-Canali in un noise chitarristico che va da scariche elettriche violente ad atmosfere rarefatte. Ferretti dall'alto recita i suoi sermoni e la voce di Ginevra Di Marco è la ciliegina sulla torta.
Con Unità di Produzione si aprono, si fa per dire, le danze: una rievocazione di un passato che ormai è morto e sepolto, un Est del mondo dove aleggia ancora lo spettro della fredda burocrazia politica, ma che ormai deve lasciare spazio ad una nuova visone globale. La Mongolia è vista come una tabula rasa su cui ricostruire tutto...sin dalla foto sulla copertina dove si vede l'infinita steppa con i contadini e sullo sfondo i "mostri" dell'industria e del capitalismo che la stanno trasformando.
Forma e Sostanza fu il primo singolo che grazie al suo impatto lanciò l'intero album in testa alle classifiche italiane rendendolo un Bestseller: quanto sa essere beffarda la vita, proprio in una canzone dove Ferretti diceva " Non voglio comprare, ne essere comprato!"
I pezzi successivi sono invece un addentrarsi nella spiritualità e nell'essenza che, un paese lontano come la Mongolia può dare. La tradizione, i costumi, la lingua vengono sviscerati nel trittico Ongii-Gobi-Bolormaa, tra atmosfere mistiche, canti popolari ed un bisogno urgente di ritornare al passato, alle radici delle cose. Canzoni che sanno di terre infinite, monasteri, incensi e di purificazione interiore, dopo tanti anni spesi a dar battaglia alla società moderna.
Però il colpo di coda del punk della Via "RozzEmilia" si slancia con il finale Mimporta una Sega, epitaffio di questo album che chiude il binomio CCCP-CSI, la carriera e la fine di un movimento, quello indipendente italiano, che negli anni Novanta trovò terreno fertile e grande esposizione mdiatica. Con il primo posto in c lassifica di questo disco si chiude tutto, come una perdita dell'innocenza di tante band che verrano estrapolate dal sottosuolo muiscale, date in pasto alle major e fatte implodere dal business.
P.S.
il libro dove trovate gli appunti di viaggio si intitola In Mongolia in Retromarcia di Massimo Zamboni edito da NDA Press, Collana Contrasti. Buona Lettura!!!

www.rudepravda.net  ( sito che raccolgie info su CCCP-CSI-PRG)
www.myspace.com/csitribute






mercoledì 3 agosto 2011

Another Chance Startoday (Wynona Records 2011)













Prendete il cd, mettetelo nello stereo e andate alla traccia numero nove...un intro arpeggiato di chitarra, pochi accordi e la fredda cronaca del Telegiornale che ci riporta indietro alla notte del nove aprile di due anni fa, quando la città de L'Aquila si risvegliò sotto un cumulo di macerie, anzi a dirla tutta molti dei suoi abitanti non si risvegliarono affatto. L'esplosione sonora successiva di From the Rubble and from the Dust è il manifesto di rabbia ed impotenza con cui gli Startoday, combo hardcore abruzzese, vogliono ricordare a tutti che dopo due anni poco è stato fatto e che le lacrime scendono ancora per non dimenticare chi non è riuscito ad uscire dalle macerie e chi ha perso tutto in pochi attimi.
Dopo aver ascoltato questo pezzo sarete pronti per dedicarvi ai restanti venti minuti di ottimo hardcore proveniente, ancora una volta, dalla Nostra Penisola.
Schegge di deflagrante violenza dall'impatto assicurato che scorrono via senza sosta da ascoltare tutti d'un fiato: questo è Another Chance, il primo album ( dopo un EP uscito l'anno scorso) degli Startoday, un ottimo mix tra Hc old school e le nuove sonorità di Comeback Kid o Snapcase, soprattutto per quel che riguarda il cantato di Egidio. Tempi veloci ma sempre dinamici con continui cambi e stop and go. E non storcano il naso i puristi: io qui dentro sento anche tanto metal; in alcuni passaggi come in All My Fears le mie orecchie colgono sonorità vicine al Gothenburg Sound degli ultimi Dark Tranquillity ed aperture melodiche alla  In Flames.
Il risultato è accattivante e non lascia prigionieri, nonostante qualche piccola pecca di pronuncia sulla quale si può soprassedere.
Il finale è un pò a sorpresa con una punk ballad in chiave acustica che mostra l'ennesima sfaccettatura di questa band.
Pollice su quindi per gli Startoday ed un consiglio: seguiteli dal vivo! Spaccano!!!
www.myspace.com/startoday1
www.facebook.com/startodayHC 

martedì 26 luglio 2011

Croweology The Black Crowes (Silver Arrows Records 2010)














Ma quanto mi son sempre piaciuti i Black Crowes!!!! Il loro rock sanguigno, figlio bastardo del blues e e degli anni'70 ha sempre avuto un gran fascino, che bello mettere sul piatto qualche loro vecchio disco e lasciarsi trasportare dalle loro canzoni magari sorseggiando una buona birra.
Ed ecco qua, per festeggiare il loro venticinquennale e per dire addio (o speriamo solo arrivederci) ai fan, un doppio album acustico...anzi un doppio album con i loro successi in chiave acustica.Specifichiamo!
Ho sempre considerato i Corvi come i diretti discendenti dei Maestri degli anni'70: grandi doti tecniche, una splendida attitudine stradaiola ed una venerazione per Stones, Zeppelin, Free, Allmann Brothers e tanto blues e soul come la tradizone a stelle e strisce vuole. Ho visto una sola volta un loro show e i brani in scaletta erano completamente stravolti, frutto di jam, improvvisazioni e voglia di divertirsi sulle assi di un palco.
Questa raccolta nasce con questo intento: non dare ai fan il solito greatest hits, la solita pappa pronta, ma rifare i classici, spogliandoli di tutti gli orpelli elettrici e rivisitarli in chiave "roots": bluegrass, southern, country, blues  e chi ne ha più ne metta.
Accanto alle ballad storiche come She Talks to Angels o Hotel Illness troviamo tante perle immortali della loro discografia: Remedy,  Jealous Again, riviste in un ottica diversa, impreziosite dalle trame chitarristiche di Rich Robinson e Luther Dickinson e ammantate di quel calore profondo che solo un hammond può dare.
Chiudi gli occhi e te li vedi su di un palco spoglio, illuminato da candele, magari con qualche birra e un sacchetto di erba, che ci danno dentro, mentre Chris Robinson dirige la band con la sua voce calda e dalle tante sfumature.
Poi loro possono permettersi di prendere un qualsiasi pezzo della loro discografia e ricamarci  sopra, intrecciare accordi e tessere assoli come è il caso di Thorn in My Pride, forse uno dei brani meglio riusciti di questo doppio.
Tutti gli step della discografia dei Corvi vengono toccati con almeno un paio di capitoli per disco, anche se i primi tre album sono quelli maggiormente saccheggiati. Ma ci sta: Shake Your Money Maker, Southern Harmony e Amorica sono entrati di diritto nella storia degli anni Novanta (almeno aldilà dell'oceano, qui in Europa siamo stati meno recettivi) e questo Croweology non fa che valorizzare una band che ha sempre suonato con dedizione e la consapevolezza che un concerto è un evento, quindi mai fare scalette uguali o versioni troppo fedeli all'originale, lo testimonia il fatto dell'enorme mercato di bootleg che circola intorno al loro nome.
Sicuramente questa raccolta va in primis ai fan della band; per i neofiti due ore tirate possono essere pesanti da digerire, anche se il pregio di questo doppio è che lo si può ascoltare decine e decine di volte(magari pochi pezzi per volta) e trovare sempre qualche spunto interessante: un assolo, un inserto di armonica, una strofa....ogni volta che si rimette sul piatto Croweology c'è sempre un qualcosa che può destare l'attenzione,soprattutto sui pezzi meno conosciuti della disCROWgrafia dei Nostri.
Da avere nella proprai discografia ( anche per lo splendido packaging che lo rende originale!)
http://www.blackcrowes.com/
http://www.blackcrowes.altervista.org/ (sito italiano sui Corvi Neri)