martedì 26 luglio 2011

Croweology The Black Crowes (Silver Arrows Records 2010)














Ma quanto mi son sempre piaciuti i Black Crowes!!!! Il loro rock sanguigno, figlio bastardo del blues e e degli anni'70 ha sempre avuto un gran fascino, che bello mettere sul piatto qualche loro vecchio disco e lasciarsi trasportare dalle loro canzoni magari sorseggiando una buona birra.
Ed ecco qua, per festeggiare il loro venticinquennale e per dire addio (o speriamo solo arrivederci) ai fan, un doppio album acustico...anzi un doppio album con i loro successi in chiave acustica.Specifichiamo!
Ho sempre considerato i Corvi come i diretti discendenti dei Maestri degli anni'70: grandi doti tecniche, una splendida attitudine stradaiola ed una venerazione per Stones, Zeppelin, Free, Allmann Brothers e tanto blues e soul come la tradizone a stelle e strisce vuole. Ho visto una sola volta un loro show e i brani in scaletta erano completamente stravolti, frutto di jam, improvvisazioni e voglia di divertirsi sulle assi di un palco.
Questa raccolta nasce con questo intento: non dare ai fan il solito greatest hits, la solita pappa pronta, ma rifare i classici, spogliandoli di tutti gli orpelli elettrici e rivisitarli in chiave "roots": bluegrass, southern, country, blues  e chi ne ha più ne metta.
Accanto alle ballad storiche come She Talks to Angels o Hotel Illness troviamo tante perle immortali della loro discografia: Remedy,  Jealous Again, riviste in un ottica diversa, impreziosite dalle trame chitarristiche di Rich Robinson e Luther Dickinson e ammantate di quel calore profondo che solo un hammond può dare.
Chiudi gli occhi e te li vedi su di un palco spoglio, illuminato da candele, magari con qualche birra e un sacchetto di erba, che ci danno dentro, mentre Chris Robinson dirige la band con la sua voce calda e dalle tante sfumature.
Poi loro possono permettersi di prendere un qualsiasi pezzo della loro discografia e ricamarci  sopra, intrecciare accordi e tessere assoli come è il caso di Thorn in My Pride, forse uno dei brani meglio riusciti di questo doppio.
Tutti gli step della discografia dei Corvi vengono toccati con almeno un paio di capitoli per disco, anche se i primi tre album sono quelli maggiormente saccheggiati. Ma ci sta: Shake Your Money Maker, Southern Harmony e Amorica sono entrati di diritto nella storia degli anni Novanta (almeno aldilà dell'oceano, qui in Europa siamo stati meno recettivi) e questo Croweology non fa che valorizzare una band che ha sempre suonato con dedizione e la consapevolezza che un concerto è un evento, quindi mai fare scalette uguali o versioni troppo fedeli all'originale, lo testimonia il fatto dell'enorme mercato di bootleg che circola intorno al loro nome.
Sicuramente questa raccolta va in primis ai fan della band; per i neofiti due ore tirate possono essere pesanti da digerire, anche se il pregio di questo doppio è che lo si può ascoltare decine e decine di volte(magari pochi pezzi per volta) e trovare sempre qualche spunto interessante: un assolo, un inserto di armonica, una strofa....ogni volta che si rimette sul piatto Croweology c'è sempre un qualcosa che può destare l'attenzione,soprattutto sui pezzi meno conosciuti della disCROWgrafia dei Nostri.
Da avere nella proprai discografia ( anche per lo splendido packaging che lo rende originale!)
http://www.blackcrowes.com/
http://www.blackcrowes.altervista.org/ (sito italiano sui Corvi Neri)






sabato 23 luglio 2011

England Keeps my Bones Frank Turner (Epitaph Rec. 2011)













Not everyone grows up to be an astronaut
Not everyone was born to be a king
Not everyone can be Freddie Mercury
Everyone can raise a glass and sing
Well I haven't always been a perfect person
And I haven't done what mom and dad had dream
But on the day I die
I'll say, at least I fucking tried
That's the only eulogy I need
That's the only eulogy I need

E' con questa dichiarazione d'intenti che si apre il quarto album di Frank Turner, parole che sanno di umiltà e voglia di fare, una gran bella introduzione per un disco davvero interessante.
Frank Turner, inglese di nascita e un passato da punk rocker, già da diversi anni ha indossato i panni del folk-rock singer e ha avviato la sua carriera sulla scia di grandi cantastorie come Billy Bragg, Bob Dylan, Bruce Springsteen e perchè no, Brian Fallon, che proprio con i suoi Gaslight Anthem l'anno scorso ha dato la possibilità a Frank di aprire i suoi concerti.
Ed ora il ritorno, un disco  dal titolo di citazione shakesperiana, che vuole essere un tributo alla sua Inghilterra e volge sempre uno sguardo malinconico al passato.
Un album che ha due facce, una più intima ed acustica e l'altra più sfrontata ed elettrica, ma in entrambe si denota una gran personalità ed una sincerità che vi farà ascoltare ed apprezzare  questo musicista.
Le ballate Rivers e Wessexboy sono il tributo alla sua patria, un atto d'amore verso la Terra che gli ha dato i Natali, dolci ballate dal sapore bucolico che fanno sognare qualche sperduta "Shire" inglese.
So place your trust into the sea
It's kept us safe for centuries
It shaped our shores and steadily
Its care has brought us, come
When I die, I hope to be buried out in English seas
So all that then remains of me
Will lap against these shores
Until England is no more

Nelle tracce di questo album viene ripercorsa l'Inghilterra dal punto di vista di un Busker, dalle campagne, alle città, dalla serenità di staersene seduti sul bordo di un fiume a strimpellare la chitarra fino al caos metropolitano della City con i suoi vizi ed i suoi demoni

We bathed like swimmers in the morning sun, waiting for our night to end
It felt like one of us would come down hard and one of us would start again
It started out curious, it started out fun
We smoked in the woods when we were young
And secretly slipped something under our tongues
And danced the night away
And everyone stumbles on old cocaine
It burns out the flesh, and it burdens the brain
‘Til brown comes and whisks away your pain and you find you've lost your way
(da Night Becomes a day)
Anche quando viene dato risalto al lato elettrico e rock delle composizioni, Frank Turner riece ad esprimersi al meglio come nel singolo Peggy Sang the Blues o If  Ever I Stray, anche se, volendo cercare il pelo nell'uovo una produzione più curata avrebbe giovato di più alla riuscita di alcuni pezzi ( è il caso di One Foot Before the Other che purtroppo è sviluppata su buone idee, ma stenta a decollare, proprio per una pessima resa sonora)
Ad ogni modo lo spirito rock and roll aleggia sempre nell'aria ed il tributo che Frank vuole dare ai miti di gioventù ed a quel sogno che non vuole mai lasciarci, viene impresso nella splendida I Still Believe, a mio avviso il pezzo migliore di tutto il disco:  un tributo, magari ingenuo, ma dannatamente sincero e diretto al lifestyle che da più di sessant'anni ha cambiato la vita a molti di noi (canzoni folk dell'era moderna...come le definisce lui).
And I still believe (I still believe) in the saints.
Yeah, in Jerry Lee and in Johnny and all the greats.

And I still believe (I still believe) in the sound,
That has the power to raise a temple and tear it down.

And I still believe (I still believe) in the need,
For guitars and drums and desperate poetry.

And I still believe (I still believe) that everyone,
Can find a song for every time they've lost and every time they've won.
 Frank Turner non cambierà le sorti della musica ed è ben conscio di non scrivere capolavori immortali, ma un disco cosi vale la pena di essere ascoltato e sono sicuro che non vi lascerà indifferenti, regalandovi ben più di un emozione. Dategli una chance!!!!
www.myspace.com/frankturner
http://www.frank-turner.com/




sabato 16 luglio 2011

Road to Ruin The Ramones (Sire records 1978)













Siamo nel 1978, l'eruzione vulcanica del Punk Rock si sta esaurendo per tornare a covare la sua rabbia nelle viscere della terra ed i Ramones si trovano alle prese con un disco nuovo, dopo il successo di Rocket to Russia e del tour successivo, immortalato nello storico It's Alive. Perdipiù Tommy, il batterista lascia l'attività live, stanco della vita on the road, per dedicarsi alla produzione dietro la consolle.
Con queste premesse nasce il quarto lavoro della band, Road to Ruin, un album controverso, caratterizzato da luci ed ombre, ma che sarà fondamnetale per il nuovo corso dei Fast Four,che li proietterà negli anni 80, facendoli sopravvivere al punk rock da loro stessi inventato.
Dietro la batteria si siede Mark Bell, subito ribattezzato Marky Ramone, fondamnetale tassello che seguira la band per i successivi vent'anni. creando uno stile unico,più dinamico e orientato verso l'hard rock.
Infatti nei solchi di RtR troviamo un sound differente rispetto i primi tre dischi, un sound più orientato verso il rock, come nei riffoni potenti di It's a Long Way Back e tante concessioni al pop, nell'eterna ricerca della hit immortale, dato che Joey e soci sono ben consci delle possibilità di creare splendidi gioielli melodici.
Ed allora ecco Don't Come Close e She's the One, veloci e sbarazzine, cosi come la cover di Needles and Pins, del repertorio dei Searchers, tributo agli ann'60 tanto amati da Joey Ramone, che grazie alla sua splendida voce rende questo pezzo un vero capolavoro, uno dei primi pezzi acustici dei Ramones.
Inoltre troviamo una delle canzoni più tristi che i "Brodders" abbiano mai scritto, Questioningly, l'epilogo di una storia d'amore che lascia profonde ferite
Questioningly her eyes looked at me
And then she spoke aren't you someone I used to know
And weren't we lovers a long time ago?
Looked at her close forced her into view
Yes, I said, you're a girl
That I once may have knew
But I don't love you anymore
Why do you want to talk to me for?
You should have just let me walk by
Memories make us cry

Le rasoiate punk rock non possono mancare anche se, seppur belle, sono leggermente inferiori agli inni del passato: I'm Against It è un manifesto nichilista con il suo rifiuto totale di tutto, in piena ottica punk rock
I'm against it
Well I'm against it
I'm against it
I don't like politics
I don't like communists
I don't like games and fun
I don't like anyone

mentre Go Mental  tocca il tema della pazzia, elemento che ha contaddistinto parecchie canzoni dei Ramones!
I'm going mental...
Staring at the goldfish bowl
Poppin' phenobarbitol
Life is so beautiful
I've gone mental
Mental..

Ad ogni modo il pezzo forte dell'album è I Wanna Be Sedated, due minuti di ritmo e melodia, una cantilena perfetta che si incastra in testa e non ne esce più. I wanna be... è il primo pezzo pop-punk della storia, palestra su cui i vari Green Day e Blink 182 hanno iniziato a strimpellare e sognare ed è forse il pezzo che i Ramones hanno davvero consegnato ai posteri.
Nella loro demenzialità hanno voluto mettere in musica la stressante vita on the road, il su e giù da un palco, l'incessante frenesia città, albergo, aereoporto ripetuta centinaia di volte.
Twenty-twenty-twenty four hours to go I wanna be sedated
Nothin' to do and no where to go-o-oh I wanna be sedated
Just get me to the airport put me on a plane
Hurry hurry hurry before I go insane
I can't control my fingers I can't control my brain
Oh no no no no no


In conclusione Road to Ruin può essere tranquillamente considerato il primo album del nuovo corso dei Ramones, è il primo tassello della loro evoluzione che li porterà attraverso gli anni Ottanta e Novanta, anche se lo zoccolo duro dei fans sarà sempre affezionato ai primi tre album, vero e proprio manifesto punk rock.
P.S.
Per quel che mi riguarda la copertina di Road to Ruin è uno dei più belli artwork di sempre!!!!!!!
http://www.ramonestory.it/  (portale italiano sul mondo ramonico)




lunedì 11 luglio 2011

Drunken Lullabies Flogging Molly (SideOneDummyRecords 2002)













Nell'ultimo decennio c'è stato un vero e proprio revival di bands legate al filone Folk Punk di matrice irlandese e tra gli highlights non si possono non citare i Flogging Molly from Los Angeles, California.
Se la band è nata sotto il sole cocente californiano, non si può dire lo stesso del suo leader, Dave King, passaporto irlandese e cittadinanza dublinese, ma come molti suoi connazionali, trasferitosi sin da piccolo negli States.
i Mollys vantano una lunga discografia ed una solida reputazione live ed uno dei capitoli più belli della loro discografia è questo Drunken Lullabies del 2002.
Se bands come i Dropkick Murphys hanno un background punk con influenze folk, non si può certo dire la stessa cosa dei FM, dove il loro retaggio è principalmente legato alla musica tradizionale irlandese, rivista in una versione più elettrica, veloce e moderna: una sorta di Pogues a stelle e strisce.
Ma relegare cosi la band di Dave King è davvero riduttivo: i Mollys hanno la loro personalità ed un suono ben marcato ed in costante evoluzione, un songwriting ricco e testi mai banali, con tematiche forti e di carattere sociale.
L'opener che da il titolo al disco in questione è ormai uno dei pezzi da novanta della loro discografia, cosi come uno dei pezzi più gettonati dal vivo:l 'intro di banjo da il via ad un intensa cavalcata "irish punk" con un ritornello catchy che ti si stampa in testa al primo ascolto.
E poi via via il resto del disco prosegue che è un piacere tra pezzi tirati e splendide ballate (su tutte If I Ever Leave This World Alive) impregnate di scariche di chitarra elettrica, ma ben supportate da strumenti tradizionali come il violino ed il thin whistle.
Mi sembra doveroso soffermarsi anche sui testi, composti da King: il classico intellettuale folkish irlandese che tra una Guinness e l'altra dispensa nozioni e concetti in un fiume di parole degno del ben più illustre James Joyce.
L'ironia ed il sarcasmo tipico irlandese sono il marchio di fabbrica del songwriting di King che, raccoglie l'eredità delle classiche pub songs, mescolando fatalismo, malinconia ed una forte presa di coscienza sociale senza mai sfociare nel banale.
Tra gli highlights, oltre alle già citate Drunken Lullabies e If I Ever...segnalo anche Rebels of The Sacred Heart, degna dei migliori Pogues,mentre la conclusione dell'album viene affidata ad una triste e riflessiva ballad intitolata The Son Never Shines(on Closed Doors).
Se i Murphys calarono il jolly con la cover di Fields of Athenry, i Flogging Molly rispondono alla sfida virtuale con il loro asso nella manica, pescato dalla produzione di Pete St.John, coverizzando la sua "The Rare Ould Times", anche qui rifatta in una versione adrenalinica.
Da qui in poi la band califoniana inizia una progressiva evoluzione,incrementando sempre di più la matrice rock a discapito del lato più puramnete folk, sempe però rimanendo fedele alla sua tradizione.
A mio avviso questo è uno dei lavori meglio riusciti della prima parte della loro carriera, un'ottimo trampolino di lancio per farli conoscere ad un bacino d'utenza più ampio.
http://www.floggingmolly.com/
www.myspace.com/floggingmolly
www.facebook.com/floggingmolly