lunedì 31 ottobre 2011

The Hunter Mastodon (Roadrunner Records 2011)












E' ormai un dato di fatto che il metal sia un genere che viva di rendita sui fasti ottantiani e tira avanti con le solite reunion dei Dinosauri che hanno sempre riempito i cartelloni dei festival più gloriosi. Ma è bello sapere che ,periodicamente, qualche novità che introduca un pò di freschezza ed innovazione ci sia sempre, tanto da far progredire un genere statico per antonomasia. Uno dei nomi di punta usciti in questi ultimi anni sono sicuramente i Mastodon, band americana che in poco tempo ha conquistato un ruolo primario nello stardom metal dell'ultimo lustro.
La band di Atlanta si è messa in evidenza grazie a capolavori come Leviatham e Blood Mountain, dove pur suonando un ibrido estremo tra sludge, hardcore e stoner, ha sempre pubblicato dischi originali, sfoderando una tecnica notevole e creandosi un immagine legata a visioni apocalittiche e mitologiche.
Ma con il penultimo Crack the Sky si denotava già un passaggio a sonorità più melodiche ed aperte con un parziale abbandono di vocals gutturali a favore di un cantato più pulito. Diciamo quindi che questo è il passo prima di The Hunter, ultimo album dei Mastodon e, probabilmente il primo di un nuovo corso per questa sorprendente band.
La composizione dei brani si snellisce e viene liberata dai numerosi passaggi strumentali e dai cambi di tempo come in passato: ora le canzoni sono strutturate in maniere più semplice e diretta, come nel caso della doppietta iniziale Black Tongue-Curl of the Burl, un mix tra Sabbath, Metallica e Queens of the Stone Age.
I due chitarristi macinano riff rocciosi e mai banali, mentre il drumming di Brann Dailor è sempre il marchio di garanzia Mastodon:veloce,tellurico ma estremamente versatile.
Anche l'utilizzo di soluzioni a più voci si rivela un ottima scelta, soprattutto in pezzi più "psichedelici" come Blasteroid o Stargasm. Le progressioni strumentali non sono state abbandonate, seppur il minutaggio delle canzoni si sia notevolmente abbassato, ma ora i Mastodon vogliono arrivare diretti al sodo, vogliono che i pezzi di The Hunter siano più assimilabili senza però cadere in facili tentazioni commerciali.
C'è spazio anche per momenti di estrema calma, come nella meravigliosa e cosmica titletrack, anche qui un ibrido tra i Pink Floyd ed il southern rock dei Lynyrd Skynyrd: se mai si dovesse mettere un etichetta ai Mastodon versione 2011 si potrebbe classificarli sotto il nome "Psychedelic Southern Rock" tanto questa fusione di stili suoni cosi bene.
L'unica concessione ai suoni abrasivi del passato la si trova in Spectrelight,dove anche il cantato è un urlo gutturale figlio degli echi sludge di quando i Mastodon dividevano i tour con gli High on Fire.
Ad ogni modo questo è un disco che divide: i fans oltranzisti arricciano il naso,mentre un pubblico sempre più vasto rimane affascinato dalle sonorità di The Hunter. Se si rivelerà capolavoro solo il tempo potrà dirlo, ma mentre io continuo ad ascoltarlo a ripetizione, si fa sempre più strada il pensiero verso un altra band che trent'anni fa iniziò come fulgida promessa dell'underground, rompendo tutti gli schemi, per poi pubblicare un disco con una copertina tutta nera e conquistare il mondo....ai posteri l'ardua sentenza!
www.mastodonrocks.com
www.myspace.com/mastodon

mercoledì 26 ottobre 2011

Sink or Swim The Gaslight Anthem (XOXO Records 2007)












Circa un anno fa, quando decisi di aprire questo blog, la scintilla che fece scaturire questa malaugurata decisione fu il concerto che i The Gaslight Anthem tennero a Milano ad ottobre. Dopo svariati anni si riaccese in me la voglia di parlare e condividere con altri, stralci di buona musica, perchè proprio i TGA risvegliarono in me quella voglia di rock and roll che si ha quando si è sbarbati e che si era sopita per diverso tempo, prigioniera della routine, del "giàsentito" e di quell'appiattimento generale figlio della musica digitale dell'era Internet.
Con i The Gaslight Anthem era tutto diverso, ecco ritornare il bisogno di approfondire gli ascolti dei loro album e di far girare il caro e vecchio vinile nello stereo, magari tenendo stretta la copertina tra le mani.
Le prime recensioni ( ok chiamiamole cosi...) furono proprio il loro bestseller 59 Sounds ed il successivo American Slang ed oggi mi sembra doveroso chiudere il cerchio con il loro debutto discografico.

Sink or Swim è veloce, diretto, sognatore ed ingenuo, ma sotto la superficie troviamo molto di più, troviamo il songwriting di Brian Fallon in fase embrionale, il suo cantato roco ed incertoche diventerà un trademark della band, cosi come i testi, vere e proprie fotografie di "american life" fatta di Highways, macchine veloci, amori, sogni e promesse.
Molti lo hanno definito punk rock forse per il modo di proporsi cosi diretto, ma nelle dodici tracce troviamo tanto rock americano, Bruce Springsteen su tutti a benedire una band che in poco più di mezz'ora darà inizio ad un ibrido che diverrà un vero e proprio genere musicale nei successivi tre anni.
L'opener Boomboxes and Dictionaries potrebbe esserne il manifesto con il suo ritmo incalzante ed un chorus che chiede solo di essere cantato senza freni inibitori e poi via con le successive Wooderson, We Came to Dance  ed il tributo ad un altra icona rock per eccellenza: Joe Strummer. In  I'd called you Woody(il nickname di Strummer agli esordi) Fallon e soci regalano un tributo sincero a chi ha ispirato il loro lifestyle e la loro attitudine, magari con l'ingenuità della gioventù e della "prima volta", ma a chi come me è è cresciuto a "pane e Clash" non può non scendere una lacrimuccia sui versi di questa canzone.
And I never got to tell him so I just wrote it down,
I wrapped a couple chords around it and I let it come out,
When the walls of my bedroom trembled around me,
To this ramshackle voice over attack of a bluesbeat,
And a girl, on the excitement gang.
That was the sound of the very last gang in town.

Ma il riassunto di tutta questa frenesia giovanile è  nella veloce Drive, il traite d'union con quello che sarà, ad oggi, il loro capolavoro 59 Sounds: il tema del viaggio come fuga dalla noia di provincia e con la voglia di vivere la vita, senza rifugiarsi nel disagio che ha sempre contraddistinto molti esponenti della scena punk rock, ma con la consapevolezza che l'allontanarsi dalla quiete dallla cittadina può solo portare a nuove esperienze e ad una crescita interiore.
And we're much too young of men
To carry such heavy heads
And tonight for the first time
It felt good to be alive
And we're much too young of men
To carry such heavy heads
And tonight for the first time
It felt good to be alive again, my friend
Consiglio a tutti di andare a ripescare questo disco d'esordio dei TGA perchè oltre a completare la conoscenza della loro, finora breve, discografia, regala attimi davvero belli ed intensi e sarebbe riduttivo relegarlo come episodio minore della loro carriera.

sabato 15 ottobre 2011

Blood Sugar Sex Magic Red Hot Chili Peppers (Warner Bros Records 1991)












Se gli anni Novanta sono stati un decennio di rinascita per la musica alternative/rock lo si deve sicuramente anche alle quattro parole chiave dei Red Hot Chili Peppers: Sangue,Zucchero,Sesso e Magia! Più di un ora di vero crossover, una miscellanea di stili  che parte dai sobborghi di Los Angeles per conquistare il mondo a suon di singoli, ma soprattutto ha sdoganato una band come i RHCP, da semplice promessa dell'underground a vere rockstar affermate.
Ma partiamo dalla gestazione di questo album, travagliata e drammatica,per via della morte del chitarrista Hillary Slovak, ma anche per la vita dissoluta dei Quattro Peppers, persi tra dipendenze e party selvaggi. L'ingresso in line up del chitarrista John Frusciante porta nuova linfa compositiva, ma il tocco magico lo dispensa un certo Rick Rubin, vero guru della consolle e proprietario di una delle label discografiche più cool del momento. Il barbuto producer prende i quattro musicisti, li rinchiude in una villa lontano dalle sirene losangeline e li spreme a fondo, tirando fuori, non senza tensioni, il loro estro migliore e realizzando un album superbo con una gamma di suoni incredibile.
Ascoltando le diciassette tracce si nota come voce, basso, chitarra e batteria(si solo questi..l'essenza del rock and roll!!!) riescano a ritagliarsi i loro spazi all'interno della canzone, gli uni senza sovrastare gli altri, innescando un meccanismo semplicemente perfetto. Il basso di Flea è un dinamico cuore che pulsa e dona l'anima  ai pezzi; la batteria di Chad Smith è quella spina dorsale che sorregge il peso delle composizioni, scarna ma essenziale; Frusciante, il nuovo arrivato non è un virtuoso, giammai, ma riesce ad esprimere il suo meglio creando uno stile che è sempre stato sottovalutato da tutti ma estremamente personale. Ed infine Anthony Kiedis, il frontman che compie il salto di qualità, non limitandosi solo a rappeggiare sui ritmi indiavolati di Flea e compagni, ma scoprendo di aver una gran voce ed iniziando a sfruttarla come nonmai, gettando cosi le fondamenta per il decennio successivo.
Ed ecco compiuta la Magia (MAGIK) a completare un album che ha venduto più di dodici milioni di copie creando uno stile unico: dall'iniziale funky Power of Equality fino al finale sgangherato di They're Red Hot c'è davvero tanta carne al fuoco. Una sfilza di singoli a partire da Give it Away o Suck My Kiss veri manifesti di crossover tra rock e funk, in perenne rotazione su MTV nonostante i testi espliciti  che varranno il bollino della censura sui dischi. Il sound è intenso, sanguigno (BLOOD), il basso che pulsa e scandisce il ritmo e fa venire voglia di saltare, dimenarsi, cercare contatto fisico guidati da un Kiedis che incita ad una  frenetica libertà sessuale(SEX)
Lucky me swimmin' in my ability
Dancin' down on life with agility
Come and drink it up from my fertility
Blessed with a bucket of lucky mobility

( Give it Away)

Hit me you can't hurt me
Suck my kiss
Kiss me please pervert me
Stick with this
Is she talking dirty
Give to me sweet sacred bliss
Your mouth was made to suck my kiss

(Suck my Kiss)

Blush my lady when I tell her
The I do indeed love to smell her
Sopping wet your pink umbrella
Do the dog with Isabella 

 (Mellowship Slinky in B Major)
Ma i momenti più riflessivi non sono da meno come nell'intima I Could Have Lied o in quel gioiello di Under the Bridge, forse la canzone che, più di tutte i Peppers tramanderanno ai posteri: dall'indimenticabile arpeggio iniziale e dall'inconfondibile cantato di Kiedis che mai come in questa canzone mette a nudo i suoi fantasmi legati alla tossicodipendenza, ma scrive anche una grande canzone d'amore verso Los Angeles, la sua città, tanto bella e gratificante quanto pericolosa e tentatrice.
Sometimes I feel
Like I don't have a partner
Sometimes I feel
Like my only friend
Is the city I live in
The city of angels
Lonely as I am
Together we cry

I drive on her streets
'Cause she's my companion
I walk through her hills
'Cause she knows who I am
She sees my good deeds
And she kisses me windy
I never worry
Now that is a lie

I don't ever want to feel
Like I did that day
Take me to the place I love
Take me all the way

It's hard to believe
That there's nobody out there
It's hard to believe
That I'm all alone
At least I have her love
The city she loves me
Lonely as I am
Together we cry

I don't ever want to feel
Like I did that day
Take me to the place I love
Take me all that way

Under the bridge downtown
Is where I drew some blood
Under the bridge downtown
I could not get enough
Under the bridge downtown
Forgot about my love
Under the bridge downtown
I gave my life away
Sicuramente Under the Bridge è la canzone che da più visibilità ai RHCP, li lancia sul mercato e sulla heavy rotation di MTV, grazie anche alla sua aurea pop (SUGAR) che viene apprezzata anche da chi, è estraneo ai circuiti alternative/rock.
Tra gli altri episodi di BSSM  vorrei citare la titletrack, la più hard rock oriented del disco, un vero tributo ad Hendrix, con un fantastico assolo centrale di Frusciante che fuga qualsiasi dubbio sulle sue capacità creative; mentre Breaking the Girl,  è molto hippie e folkish con un particolare uso delle percussioni che la rende coinvolgente e ritmata, a dispetto di un testo che è l'ennesimo sfogo di Kiedis nei confronti del padre, reo di averlo iniziato ad una vita dissoluta fatta di droghe ed amori facili ( A tal proposito consiglio la lettura di Scar Tissue, la biografia del cantante).
In conclusione mi sento sicuro nell'affermare che BSSM sia uno dei manifesti musicali/culturali degli anni Novanta, al pari di Nevermind, Out of Time o Ten. Un disco pressocchè perfetto che lancerà i Peppers verso una sfolgorante carriera, ma che sancirà anche la fine del loro periodo rock a favore di soluzioni estremamente commerciali più vicine al mainstream pop come Califonication o By the Way, dischi vendutissimi ma che hanno snaturato la vera essenza che permeava i Red Hot Chili Peppers.

www.redhotchilipeppers.it
 www.myspace.com/redhotchilipeppers



sabato 8 ottobre 2011

Borrowed Time Nothington (Red Scare Records 2011)












Meno di un mese fa scrissi la recensione di Roads, Bridges and Ruins, secondo lavori dei californiani Nothington, indicandolo come uno dei migliori dischi punk rock degli ultimi anni. Non è ancora scesa l'euforia per questo disco che, ecco uscire sul mercato il suo seguito ( ricordo che RBaR è datato 2009) intitolato Borrowed Time e dopo averlo ascoltato a ripetizione nelle ultime settimane mi appresto a scrivere il mio giudizio.
Parto subito col dire che questa nuova release è leggermente inferiore al suo precedente: vuoi per l'effetto sorpresa ormai scemato, vuoi per la mancanza di "highlights"di impatto come in Roads..., ma comunque la qualità dei pezzi rimane alta e la voglia di far ripartire il cd da capo permane anche dopo svariati ascolti.
L'opener Captive Audience è l'ideale per aprire le danze e sembra che Roads,Bridges and Ruins non sia mai terminato, tanto lo stile e la qualità siano cosi legati a quel capolavoro. Le Les Paul della coppia Northington/Matulich tessono riff incendiari ben supportati da una linea di basso dinamica e melodica, mentre la voce greve dello stesso Jay Northington da quel tocco di in più che ha sempre contraddistinto questa band.
Proseguendo nell'ascolto non si possono non menzionare Far to Go caratterizzata dall'alternarsi al cantato tra Nortington e Matulich (quest'ultimo con una voce dall'impostazione più melodica) e dal chorus che ti si stampa in testa dopo un ascolto e End of The Day, dai ritmi più lenti e con un incedere drammatico che sa di tante lacrime e sudore. Sicuramente se riproposte dal vivo faranno sfracelli sotto palco.
Un particolare dei Nothington che ho sempre apprezzato è quello di raccontare la realtà nuda e cruda, sbattendo in faccia le brutture e le alienazioni derivate da questa società. The Escapist, traccia numero sei, parla di tossicodipendenza ("These conversation is fuckin killing me/I'm an escapist and nothing comforts me") e abbandono ed è l'ennesimo pezzo da novanta sfoderato dalla band californiana, che affonda poi il colpo con St.Andrews hall e Hopeless, potente ballata scritta proprio per la voce graffiante di Jay.
L'impressione generale avuta dopo svariati ascolti è che i Nothington versione 2011 abbiano trovato il loro equilibrio, grazie anche al disco precedente che ha tracciato un solco non indifferente.
Attenzione però: non giudico questo Borrowed Time come un episodio minore o di seconda scelta, anzi, come ho scritto all'inizio la qualità è davvero alta e fa passare in ombra gran parte delle uscite di quest'anno in ambito punk rock. Senza stravolgere il loro sound e le loro certezze, i Nothington hanno migliorato alcuni aspetti della loro precedente produzione, confezionando un album più lineare e compatto pronto da essere messo on the road, la miglior prova per testare la buona riuscita di un disco!!!
recensione Roads,Bridges and Ruins
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