domenica 29 aprile 2012

Yield Pearl Jam (Sony Music 1998)












Avevamo lasciato i Pearl Jam con No Code , un album transitorio e molto eterogeneo che aveva diviso critica e fans, ma che poteva essere considerato la chiave di svolta per la loro carriera. Infatti con il successivo Yield la band di Seattle taglierà definitivamente i ponti con i cliches del "grunge" per abbracciare un ambito rock più ad ampio raggio, ma soprattutto ricreare un immagine di se stessi più matura, credibile e lontana dagli eccessi dei primi anni Novanta.
Se nel disco precedente vi erano evidenti tributi al "padre spirituale" Neil Young, qui i riferimenti agli anni Settanta si fanno più forti, specialmente con bands come Who (grande passione di Vedder) e Led Zeppelin ai quali i PJ cercano di avvicinarsi soprattutto nel sonwriting, dove tutta la band è impegnata nella stesura dei brani, un unione di forze dove non spicca nessuno in particolare, ma tutti danno il giusto contributo.
Sin dalla copertina si denota la voglia di fuga e di ampliare i propri (illimitati) orizzonti e la musica che ne esce ha un mood più oscuro e malinconico rispetto al passato. C'è un bisogno di introspezione e di ricerca interiore, in più di un occasione Vedder canta la sua voglia di rinascita lontano dalle luci della ribalta e dalle facili sirene del successo che lo hanno accompagnato  in questi ultimi frenetici anni.
'Cause I'll stop trying to make a difference
I'm not trying to make a difference
I'll stop trying to make a difference (No Way)

C'è sempre spazio per le scariche di adrenalina come in Do the Evolution o Brain of J, giusto per ricordarsi che McCready e Gossard sanno sempre scrivere grandi riff e la band quando vuole picchia duro, ma gli highlight del disco si trovano nei momenti più rilassati come nella ballad Wishlist, una cantilena costruita su due accordi in cui Vedder rende merito alla sua voce calda, Low Light e In Hiding dove, in quest ultima ricorre il tema della fuga dalla notorietà, evidentemente un peso davvero insopportabile per il cantante, quasi una morsa asfissiante e carica d'angoscia.
I swallowed my words to keep from lying
I swallowed my face just to keep from biting, I, I
I swallowed my breath and went deep, I was diving, I was diving
I surfaced and all around my being was enlightened
Now I'm in hiding 

I'm in hiding
I'm in hiding
Oh, I'm in hiding
I'm in hiding
I'm in hiding
I'm in hiding
I'm in hiding 

E se Given To Fly è stato criticato per la sua somiglianza con Going to California degli Zep, poco importa, perchè è un grandioso pezzo, forse il manifesto più limpido della voglia di libertà che i PJ cercano e che vogliono perseguire con questa nuova direzione musicale.
Ad ogni modo Yield è un disco che va assaporato lentamente, ascolto dopo ascolto per cercare di capirne le sfumature e le motivazioni che lo permeano: è il definitivo passaggio dall'adolescenza alla fase adulta per questa band che chiuderà cosi il suo primo decennio di carriera artistica ( il successivo Live on Two Legs ne sarà il sigillo) fatto da una rapida ascesa nell'Olimpo del rock e da una conseguente maturazione per rimanervi per non bruciare velocemente come molti altri hanno fatto in precedenza.
P.S.
C'è anche un pezzo d'Italia in questo album: MFC è stato composto proprio a Roma durante un viaggio di Vedder, in visita presso alcuni amici italiani. La sigla sta per Many Fast Cars e dovrebbe riferirsi al traffico caotico della capitale.....
www.pearljam.com
www.pearljamonline.it (sito ufficiale del fan club italiano)


 

giovedì 26 aprile 2012

No Code Pearl Jam (Sony Music 1996)












Dopo la triade "monolitica" di Ten-VS-Vitalogy i Pearl Jam sono sul tetto del mondo, eletti ad eroi della scena grunge, essendo ancora sopravvissuti alla pressione ed ai vizi da rockstar di Seattle nonostante estenuanti tour mondiali ed una fama  in crescita esponenziale.
Fortunatamente i Nostri decidono di prendersi una boccata d'ossigeno e messe da parte arene e stadi si buttano in svariati side project e collaborazioni che saranno un vero toccasana per gli anni a venire.
No Code è il primo album del dopo Seattle, dove, abbandonate le calde camicie di flanella, Eddie Vedder e soci spiccano il volo verso un rock più variegato  e ad ampio respiro, allargando i propri orizzonti e mettendo in pratica quello  che hanno assorbito dalle influenze esterne.
L'opener Sometimes suona come un tributo al "padrino" Neil Young con la sola voce di Eddie Vedder accompagnata da una chitarra acustica. Gli ormoni rock vengono però sfogati con la successiva Hail Hail, anche se siamo lontani dal Seattle Sound dei primi anni Novanta: è tutto più diretto e lineare,i suoni più scarni ma efficaci anche se, i Pearl Jam non hanno certo ammorbidito il loro suono; lo testimonia una punk song rabbiosa come Lukin, forse il pezzo più violento mai scritto dalla band o Red Mosquito, l'ennesimo tributo agli anni Settanta con un gran lavoro del duo Gossard-McCready alle chitarre.
Anche i testi si fanno più introspettivi ed ermetici, Vedder dimostra una spritualità ed una profondità d'animo in continuo crescendo: il disagio giovanile viene mitigato da una continua ricerca interiore
                                       ''seek my part/devote myself/my small self'    '(da Sometimes)
In Present Tense i respirà positività, lo stimolo di guardare sempre avanti e non rimanere succubi del passato e dei propri errori 
You can spend your time alone, redigesting past r                                                       You can spend your time alone, redigesting past regrets, oh...
Or you can come to terms and realize
You're the only one who can forgive yourself, oh yeah...
Makes much more sense to live in the present tense... 

Ma l'highlight del disco è ancora una ballata, quella Off He Goes giocata su pochi accordi semplici, ancora una volta il tributo a Neil Young è palese ed i riferimenti sono continui in tutta la sua malinconica melodia.
Ad ogni modo troviamo anche parecchie novità come Stone Gossard che canta in Mankind, una pop rock song diretta e ruffiana oppure l' armonica in Smile, elemento che porta i Pearl Jam ad abbracciare la tradizione musicale prettamente americana.
Molti fans all'epoca storsero il naso per questo cambio di direzione della loro band preferita, ma con il passare degli anni No Code è stato ampiamente rivalutato, considerato un perfetto disco di passaggio dagli anni del grunge a quelli della maturità artistica; una band che ha saputo sfruttare con intelligenza le proprie capacità artistiche sapendosi evolvere e riuscendo a far proprie le influenze accumulate da collaborazioni esterne.















www.pearljamonline.com  (sito del fan club ufficiale italiano dei PJ)

domenica 8 aprile 2012

In Concerto, A Cuor Contento Giovanni Lindo Ferretti ( Edizioni L'Espresso XL 2012)











Parlare di un personaggio pe(n)sante come Ferretti è sempre rischioso, vista la sua importanza nel panorama musicale italiano e viste le sue prese di posizioni che hanno da sempre dato addito a polemiche, nel bene o nel male.
 Da anni ha abbandonato la vita on the road, complice la malattia e quella voglia di estraniarsi da un mondo sempre più frenetico e superficiale, salvo qualche manciata di date ben mirate, dove rilegge i classici della sua carriera, che siano dei CCCP oppure dei CSI.
Il cd che questo mese allega il mensile XL è una raccolta di alcuni  momenti della tournè dello scorso anno che lo ha visto girare l' Italia insieme ai suoi vecchi amici Ustmamò Ezio Bonicelli e Luca A. Rossi e ci consegna un Ferretti davvero in gran forma, ma profondamente cambiato nel suo approccio live.
Le versioni sono volutamente scarne ed essenziali, accompagnate da chitarre minimali o dal violino di Bonicelli, lontane dalle scariche di watt a cui eravamo abituati quando il palco era condiviso con i compagni ( è il caso di dirlo) di una vita Zamboni-Canali. Ora il cantato di Ferretti è più profondo e meditativo, quasi ascetico, un lungo salmo che la dice lunga sul suo cambiamento interiore a cui ha fatto fronte in questi ultimi anni: alla frenesia ed all'urgenza del punk rock filosovietico da lui creato ora da spazio all'introspezione più pura, alla profondità della sua voce in un viaggio che lui stesso definisce musicaterapia.
Anche alcuni versi delle sue liriche sono volutamente cambiate e qui, i fans più puri, si divertiranno a scoprire cosa è rimasto e cosa invece è stato stravolto.
Si parte con Depressione Caspica, quasi un mantra tanto è lenta e profonda per passare alla versione "tango" di Amandoti fino ad Annarella, forse uno dei pezzi più amati dal pubblico. Il periodo CSI vede anche una versione semielettrica di Unita di Produzione, che spogliata dagli orpelli rumoristici a cui eravamo abituati a sentirla non perde il suo fascino.
Il finale affidato a M'importa una Sega è però quel cordone ombelicale che lo lega al suo irriverente passato da punkettone, perchè certe cose le si porta dentro ed a noi piace pensare di continuare a vedere Ferretti piantato sul palco che provoca il pubblico come faceva venticinque anni fa...Mi importa una sega, una sega assai/ma fatta bene che non si sa mai...
C'è chi punk lo fa per moda e c'è chi si porta dentro certe esperienze e non le lascerà mai. Grazie Giovanni per tutto!
www.facebook.com/giovannilindoferretti