martedì 24 gennaio 2012

Hisingen Blues Graveyard (Nuclear Blast Records 2011)












Nel corso del 2011 abbiamo assisitito ad un vero e proprio revival di sonorità anni Settanta, soprattutto da parte di bands provenienti dal continente europeo: dagli inglesi Rival Sons e Gentleman's Pistols fino ai dirmipettai (Irlanda) The Answer, passando per i Black Country Communion di sua maestà Glenn Hughes. Ma tra i nomi che più mi hanno colpito vi propongo i Graveyard, giovanissima band svedese che, con questo secondo album, merita di essere considerata come una delle rivelazioni dell'anno appena conclusosi.
Prendete Deep Purple, Uriah Heep, Black Sabbath, Led Zeppelin, mescolate a fuoco lento con dell'ottimo blues ed ecco  creata la ricetta di questi Graveyard. Ah Dimenticavo: tanta sincera passione ed un amore smisurato per quelle sonorità retrò che non fanno mai scadere il prodotto in un mero esercizio anacronistico, ma trasportano l'ascoltatore in un epoca lontana, agli albori della musica rock e lo tengono inchiodato dall'inizio alla fine di questo album.
L'opener Ain't Fit to Live Here è la classica song d'apertura che non deve fare prigionieri sulla scia di una Burn o di una Communication Breakdown, con il cantante Joakim Nilsson che sfoggia il più classico dei falsetti. Ma il meglio arriva con le successive No Good, Mr Holden, un sulfureo hard-blues da Sabba Nero e la titletrack del disco ( a proposito..Hilsingen è il quartiere popoloso di Goteborg da dove arrivano questi ragazzi), dalle tinte più psichedeliche e stoner.
La produzione in analogico ( manna dal cielo in questi tempi di freddo digitale) accentua ancora di più le calde atmosfere di questo album, conferendo colore ed una vera atmosfera vintage ai brani; prendete quel piccolo capolavoro di Uncomfortably Numb, che di pinkfloydiano ha ben poco, ma sembra uscita da una session tra Janis Joplin ed i Led Zeppelin se mai avessero potuto incontrarsi!
La strumentale Longing, dagli echi morriconiani ( considero il Nostro Morricone un precursore dello stoner per le sue soundtracks spaghetti-western!) è posta da cuscinetto prima delle cavalcate hard blues di Ungrateful for the Dead e RSS che ci conducono alla finale The Siren, una lunga e sofferta canzone giocata su parti lente ed un infuocato chorus sostenuto da un roboante drumming e pregevoli assoli!
Tirando le conclusioni di questa recensione, credo che i Graveyard, con questo album abbiano realizzato una delle pagine musicali più promettenti del 2011, senza inventare nulla di nuovo e senza issarsi a salvatori del rock and roll. Se cercate un' oretta scarsa di semplice ed onesto hard rock d'annata, Hilsingen Blues è un disco che fa al caso vostro e sono sicuro che supererà anche la dura prova del tempo, non finendo sotto tre dita di povere come quella pila di cd che tenete sugli scaffali. L'umiltà e l'onesta pagano sempre!
P.S. Se dovessi dare un voto a questo disco, lo alzerei di mezzo punto per la splendida cover, only for Vynil Lovers

www.myspace.com/graveyardsongs
www.facebook.com/graveyardofficial
TeePee Records   (Label di Goteborg per cui hanno debuttato i Graveyard)

lunedì 16 gennaio 2012

Tempi Bui Ministri (Universal Records 2009)












Una volta a Milano c'era la musica alternativa, c'erano i Ritmo Tribale, gli Afterhours e decine di bands che nascevano, suonavano, morivano reincarnandosi sotto altri nomi, c'era la Fiera di Senigallia in Darsena, il Leoncavallo, il Rolling Stone ed il Factory Club. Una volta a Milano c'era davvero una scena forte che pulsava nel contesto metropolitano della città, dalla Bovisa fino alle Colonne di San Lorenzo. Erano gli anni Novanta e di quel periodo è rimasto ben poco, soppiantato dalla moda, dall'usa e getta e dal vuoto intellettuale che ha caratterizzato quest'ultima decade sempe più schiava dell'apparire sopra l'essere.
Meno male che qualche barlume di speranza c'è ancora e l'ho ritrovato proprio ascoltando questo album dei Ministri, band meneghina che, in questi ultimi anni è uscita dall'anonimato realizzando tre album e girando praticamente tutta la penisola con un incessante attività live.
Tempi Bui è il loro secondo disco e ci fa percorrere un viaggio negli usi ed abusi della società italiana con un ironia spesso cinica e tagliente  che va a colpire il bersaglio.
La title track posta in apertura  riassume il concetto del disco: tempi bui e cupi e nuvoloni neri che si addensano all'orizzonte della nostra società mentre noi ce ne staimo beati a goderci l'ennesimo pranzo domenicale facendo finta che tutto sia bello e luminoso. Dopo questa overtoure parte il viaggio a testa bassa negli usi ed abusi di questa decade grondante consumismo, berlusconismo, opportunismo e molti altri "ismi"  di chi mangia sopra le nostre teste.
Finalmente una voce di protesta che si leva lontana dalle sirene mediatiche dei reality musicali e dalla musica preconfezionata, un sound potente e diretto che alterna bordate di rock alternative con melodie in chiave power pop.
A scanso di equivoci chiariamo che la band non è politicizzata, non avrebbe senso rifugiarsi in vuoti slogan per chi, come loro, è figlio di un epoca vuota di ideologie, ma è lucida nel deunciare le brutture ed i paradossi della società che li (ci) circonda: dal trend giovanile del consumo smodato di alcolici nascosto dall'ipocrisia del "fai guidare qualcun altro"(Bevi) fino alla cultura del gossip, vero traino dei mass media che riempie di aria fritta i notiziari ed i giornali (La Faccia di Briatore).
Le adrenaliniche Brucia e Diritto al Tetto sono figlie di quel retaggio punk che contraddistingue una bella fetta delle rock band appartenenti al circuito alternativo mentre l'apice di questo disco si manifesta con  Il Bel Canto,un disincantato manifesto di rabbia ed impotenza, un mix tra impulsi rock e cantautorato.

 Hanno dovuto bendarmi perchè vedessi un pò meglio
Hanno dovuto drogarmi per farmi rimaner sveglio
Hanno dovuto legarmi perché godessi più in fretta
Mi han tolto pure le armi e mi hanno affittato una cuccia
Hanno dovuto pregarmi perché continuassi a bere
Hanno dovuto cullarmi per non farmi vomitare
Hanno dovuto sudare per prendermi le misure
Ora mi vestono loro ed io posso tornare a cucire
Ed è come se
Non avessi mai
Deciso niente
Ho aperto troppe finestre
E non so da quale buttarmi
Voglio un nemico fidato
Voglio guardarlo negli occhi
Ci meritiamo le stragi altro che Alberto Sordi
Fatemi uscire di casa
Solo per costituirmi

L'ironia ed il cinismo sono le armi con cui lottano i Ministri ed il finale affidato a La Ballata del Lavoro Interinale è l'ultima freccia che scoccano per porre il sigillo a questi "Tempi Bui", un disco e, soprattutto una band che non ha bisogno di paragoni con il passato, ma che riesce a camminare con le proprie gambe e ridare un pò di coscienza a  chi non vuole continuare ad essere lobotomizzato dalla (dis)informazione che ci circuisce.
www.iministri.com
www.myspace.com/ministri
I Ministri Facebook
Parola di Ministri (Blog della band)

lunedì 9 gennaio 2012

Just Look Them Straight in the Eyes and Say...Pogue Mahone!!!!! The Pogues

Se negli ultimi anni abbiamo assisitito ad una vera e propria ondata di bands appartenenti al filone celtic-punk rock ( Dropkick Murphys, Flogging Molly, The Mahones su tutti) lo si deve in gran parte a chi, senza dubbio, è stato il capostipite di questo genere: i Pogues!
Nati intorno ai primi anni Ottanta grazie all'incontro  tra uno sbandato irlandese di nome Shane MacGowan ed un gruppo di musicisti di strada, che si esibivano come buskers per le strade di Londra,i Pogues ebbero l'idea di coniugare l'irruenza e l'irriverenza del movimento punk rock con la tradizionale musica irlandese, ovvero il retaggio culturale caro a chiunque provenga dall'Isola di Smeraldo.
Il primo nucleo della band si fa chiamare The Nipple Erectors per poi cambiare il nome  in Pogue Mahone ( espressione gaelica che sta a significare "Baciami il Culo") ed al momento della firma di un contratto discografico nel più ragionevole ed inoffensivo The Pogues.
Grazie al supporto di personaggi come Elvis Costello e Joe Strummer, la band inizia ad esibirsi regolarmente per Londra inizialmente, e poi per tutto il Regno Unito, facendosi notare ed ampliando sempre di più la schiera dei consensi.
Se negli anni Settanta i Dubliners furono i primi ad esportare e rendere commerciale la musica tradizionale, ora tocca ai Pogues riformularla per poterla tramandare anche alle nuove generazioni. Il primo album esce nel 1984 e si intitola Red Roses for Me e, nonostante sia ancora presente un suono acerbo, figlio di strada ed anarchia, si denota già il marchio di fabbrica che contraddistinguerà la band irlandese: pezzi veloci e più frenetici arricchiti dalla voce sguaiata ed alcolica di Shane MacGowan, alternati da ballad malinconiche da pub. La maggior parte dei pezzi sono tradizionali riarrangiati dalla band stessa dove in alcuni casi vengono anche cambiati i testi per renderli più duri ed irriverenti, ma troviamo anche i primi brani originali scritti da MacGowan, come Transmetropolitan, ovvero una delle tante dichiarazioni d'amore-odio verso Londra che scriverà durante la carriera e Stream of Whiskey (dedicata al poeta Brendan Behan), che sarà fissa durante i live.
 
Il songwriting di MacGowan è fluido e molto articolato, ricco di espressioni "slang" molto colorite e continui riferimenti letterari con citazioni di   Yeats o Behan, una caratteristica che con il tempo eleverà il cantante a poeta di strada, molto amato dai suoi connazionali, nonostante i suoi eccessi.
Il secondo album esce un anno dopo e si intitola Rum, Lash and Sodomy ed è prodotto da Elvis Costello e con questo disco avviene il salto di qualità sia a livello compositivo che a livello di suoni, che finalmente rendono giustizia alle escuzioni della band.
La formula è la stessa, pezzi tradizionali riarrangiati ( Dirty Old Town, Jesse James, Wild Cats of Kilkenny) alternati a composizioni nuove tra cui The Sick Bed of Cuchullain, Sally MacLennnane e la splendida ballata A Pair of Brown Eyes. Il finale è per la lunga  The Band Played Waltzing Matilda, canzone antimilitarista che denuncia una delle peggiori battaglie perse dall'esercito inglese, dove morirono migliaia di soldati irlandesi ed australiani al servizio della Union Jack e l'interpretazione di Shane è davvero toccante.



Nonostante il successo in ascesa, la carriera dei Pogues è fatta di fasi altalenanti causate dalle condizioni di Shane MacGowan, dedito all'abuso più estremo di alcool che mina oltremodo la sua salute e le sue performances dal vivo, spesso interrotte a metà viste le condizioni pietose in cui sale sul palco; ma anche le sue continue assenze in sala prove o in studio di registrazioni fanno slittare le attività della band e bisognerà aspettare il 1988 per vedere il terzo full lenght della band. In precedenza viene dato alle stampe un EP di quattro tracce, Poguetry in Motion che racchiude una delle più belle e struggenti canzoni che i Pogues abbiano mai scritto: A Rainy Night in Soho.

I've been loving you a long time
Down all the years, down all the days
And I've cried for all your troubles
Smiled at your funny little ways
We watched our friends grow up together
And we saw them as they fell
Some of them fell into Heaven
Some of them fell into Hell

I took shelter from a shower
And I stepped into your arms
On a rainy night in Soho
The wind was whistling all its charms
I sang you all my sorrows
You told me all your joys
Whatever happened to that old song
To all those little girls and boys

Now the song is nearly over
We may never find out what it means
But there's a light I hold before me
And you're the measure of my dreams
The measure of my dreams

Sometimes I wake up in the morning
The gingerlady by my bed
Covered in a cloak of silence
I hear you in my head
I'm not singing for the future
I'm not dreaming of the past
I'm not talking of the fist time
I never think about the last

Now the song is nearly over
We may never find out what it means
Still there's a light I hold before me
You're the measure of my dreams
The measure of my dreams


If I Should Fall from the Grace of God  vede la luce nel 1988 ed è uno dei migliori successi commerciali della band grazie anche alla ballad Fairytales of New York resa celebre dal duetto MacGowan-Kirsty MacColl e diventata con gli anni "la canzone di Natale" nonostante il testo dai toni molto colorati, spesso censurato dalla BBC inglese

You're a bum
You're a punk
You're an old slut on junk
Lying there almost dead on a drip in that bed
You scumbag, you maggot
You cheap lousy faggot
Happy Christmas your arse
I pray God it's our last





 Ma aldilà di questo fortunato singolo, all'interno di questo album c'è parecchia carne al fuoco, alcune delle canzoni più famose che i Pogues abbiano mai scritto, ma soprattutto sonorità nuove che vanno  a legarsi col tradizionale folk irlandese. L'esempio più lampante è Fiesta con la sua andatura chiassosa e dirompente con i continui rimandi alla Spagna ed al mondo latino in generale. Anche la titletrack è uno dei pezzi forti du questo album, da anni opener dei concerti della band, mentre la rivisitazione di Thousand are Sailing è solo l'ennesimo highlight di un disco che merita di entrare di diritto nella storia della musica.
L'anno successivo viene pubblicato Peace and Love, che purtroppo, nonostante alcuni pezzi buoni darà inizio alla fase discendente della carriera dei Pogues. Il disco in questione è altalenante dato che, a fianco di intense songs come Young Ned of the Hill o Misty Morning Albert Bridge ( una delle più belle ballad del repertorio dei Pogues) troviamo pezzi molto più fiacchi, frutto di esperimenti per sondare nuove sonorità ma che non riescono a lasciare il segno. Chiude il disco London You're a Lady,l'ennesimo tributo di amore/odio verso la metropoli inglese.
Purtroppo la dipendenza da alcool di MacGowan sta per arrivare al suo culmine e Hell's Ditch è il canto del cigno del vocalist irlandese, licenziato poco dopo per la sua condizione. Il disco ne risente parecchio di questa influenza negativa e ne risulta stanco e scarno di idee. Alla consolle si presenta Joe Strummer e non si può dire che il suo lavoro sia eccelso. Tra l'altro l'ex leader dei Clash si imbarcherà in un breve tour proprio per sostituire Shane MacGowan alla voce.
Tra gli Highlights segnalo The Sunnyside of the Streets e the Ghost of a Smile, ma purtroppo questo non sarà uno dei dischi per cui verranno ricordati i Pogues.
Per la cronaca la band realizzerà negli anni a venire altri due album ( Waiting for Herb e Pogue Mahone) con Spider Stacy alla voce, ma senza l'icona MacGowan la carriera della band si eclisserà verso un lento oblio rivitalizzata solo dalla recente reunion che ha riportato il nome dei Pogues sui cartelloni dei più importanti festival mondiali.
Proprio in questi giorni esce un cofanetto di cinque cd ( più un ampio booklet) che ripercorre la carriera della band: un ottimo modo per i neofiti alle prese con il celtic-folk punk (per gli amanti delle etichette) e per conoscere una fetta importante di storia di musica irlandese

www.pogues.com
A parting glass: Poguetry (un sito dove spulciare tra i testi di MacGowan per approfondire la sua poesia)