sabato 21 novembre 2015

The Comeback!!

Cari Lettori (ammesso e concesso che ce ne sia ancora qualcuno) di questo piccolo ed umile blog, sono passati diversi mesi dal mio ultimo post: cause di forza maggiore mi hanno fatto lasciare in disparte questo impegno che mi ero preso con me stesso già da qualche anno, un ritaglio di spazio per sfogare la mia voglia di parlare e condividere musica.
Vi informo che a breve ricominceranno post ed aggiornamenti e farò il possibile affinchè le Melodie tornino ad essere FuoriLegge!!
Stay Tuned for more Rock & Roll!!

domenica 3 maggio 2015

Sick Tales Sick Boys Revue (AreaPirata Records 2015)













Primo full lenght per i Sick Boys Revue, band toscana conosciuta in precedenza semplicemente come Sick Boys, di cui avevo parlato in occasione del loro promo autoprodotto risalente a tre anni fa.
La loro proposta musicale ha destato l'attenzione di AreaPirata Records, label italiana specializzata in rock and roll/garage e, grazie anche alla sapiente e furbesca mano di Lester Greenowski alla consolle, ecco tra le mani il loro debut officiale che si snoda in undici tracce di onesto e ruspante punk 'n'roll.
Rispetto al demo ( di cui sono sopravvissute due tracce: Lovin'me e Contradictions of my Town) la proposta musicale dei SBR ha maggior coesione e tiro, così come l'attitudine stradaiola è stata accentuata, senza però snaturare il loro sound, debitore al 100%  di Mike Ness e dei suoi Social Distorsion ( anche la cover che li vede in versione "gangsta" anni Trenta è un palese tributo), ma che riesce a reggersi sulle proprie gambe grazie alla vitalità e ad alcune melodie davvero imprescindibili.
Ecco quindi l'iniziale Sick Boys Play Rock and Roll, dichiarazione di guerra che mi ha fatto sobbalzare e suonare la mia "air guitar" alla soglia dei quarant'anni, oppure la melodica By My Side, uno degli highlight assoluti di questo album, assolutamente "Nessiana" nel cuore e nello spirito.
Cercate la ballatona dal mood nostalgico del loser impenitente? Ecco servita Becomin' Myself con tanto di armonica ad impreziosire il tutto.
Ad ogni modo non c'è solo Social Distorsion qui dentro, ma anche tanto punk '77, potente e squadrato come nei primi due dischi dei Clash ed allora è d'obbligo ascoltare People Call Me Sick e Panem et Circenses, mentre in People Can't Change scopro un'inedita sfaccetatura dei Sick Boys Revue, ovvero quella di "simpatizzanti per il diavolo" con tanto di coretti e melodie alla Jagger/Richards.
Una proposta onesta e sincera per una band che non ha mai nascosto le proprie origini ed anzi, le continua a sbandierare con orgoglio, perchè il rock and roll non è moda , ma una passione che ti nasce dentro e te la porti fino alla tomba. Ben vengano band come i SBR che hannovoglia di sbattersi ancora e macinare riff e chilometri per la giusta causa!
Continuate così ragazzi e che la benedizione di Mike Ness discenda su di voi e vi protegga sempre!Amen!
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domenica 5 aprile 2015

Social Distorsion Social Distorsion ( Epic Records 1990)













Tra le numerose bands che hanno caratterizzato la scena punk californiana degli Anni Ottanta, i Social Distorsion sono stati i più atipici, lontani dall'immediata violenza hardcore e più legati ad un sound più inglese e settantasettiano (Clash su tutti) ed al vecchio rock and roll dei Fifties.
Purtroppo  varie vicissitudini legate a line up poco stabili e ad una tossicodipendenza  sempre più acuta del leader Mike Ness ha minato non poco la prima parte della loro carriera, ma con l'arrivo degli Anni Novanta e con la conseguente caccia delle major per accappararsi la "next big thing" di turno, anche loro riescono ad avere un contratto con la Epic Records che darà alle stampe questo omonimo album.
Le vendite e la popolarità della band subiscono una forte impennata, complici pezzi molto radiofonici ed una maggiore accuratezza dei suoni che servono a limare le spigolosità degli esordi ed anche il songwriting di Mike Ness che diviene più maturo, soprattutto nelle canzoni trainanti, come l'autobiografica Story of My Life e Ball and Chain. 
Questi due pezzi, ormai imprescindibili nella setlist della band, sono un nuovo punto di partenza della band, una decisa sterzata verso territori country e rock and roll, per  i quali verrà coniato un termine, il "cowpunk" che verrà utilizzato per questo suono ibrido ma estremamente diretto ed affascinante.
In Story of My Life  Mike Ness sviscera la  prima parte della sua vita, tra disagio, rabbia adolescenziale ed una nostalgia di fondo che sarà il trademark delle sue composizioni

Good times come and good times go,
I only wish the good times would last a little longer.
I think about the good times we had
And why they had to end
So I sit at the edge of my bed
I strum my guitar and I sing an outlaw love song.
Thinkin' 'bout what you're doin' now
And when you're comin' back.

Invece Ball and Chain ha il forte sapore della riflessione,il pentimento per gli errori fatti in passato, le droghe, gli amori finiti ed il carcere. La sua è una ricerca di redenzione che lo farà diventare il meraviglioso antieroe e perdente che conosciamo ora.
Well I'll pass the bar on the way
To my dingy hotel room
I spent all my money
I've been drinkin' since half past noon
Well I'll wake there in the mornin'
Or maybe in the county jail
Times are hard getting harder
I'm born to lose and destined to fail
Un punto di riferimento è senza dubbio Johnny Cash, tante sono le similitudini tra loro e se nei dischi precedenti veniva spesso citato, ora viene anche coverizzato un suo pezzo, forse il più famoso, quella Ring of Fire che verrà avvolta da scariche elettriche ed urgenza punk rock!
Ma il resto del disco non può passare sottotono, anzi le iniziali So far Away e Let it Be Me, seppur con arrangiamenti decisamente migliori, hanno il mood dell'esordio Mommy's Little Monster: un sound inconfondibile che parte dai Clash e dalla rivoluzione del 1977.
Sick Boys è un inno alla strafottenza ed alla ribellione e guardando la foto sul retro del disco, mai titolo fu più azzeccato: quattro teppisti rockabilly che sfoggiano sguardi da duro e ostentano sicurezza.
L'immagine e il sound rockabilly fanno capolino in She's a Knockout, mentre il pezzo finale Drug Train è un torrido blues-punk, un ideale incontro tra gli Stones ed i Gun Club.
Per molti fans della prima ora questa decisa sterzata fu vista come un tradimento fatto e finito, per molti altri questo è il capolavoro assoluto della band( tanto che quest'anno verrà celebrato un tour commemorativo per i 25 anni dalla sua release). Per quel che mi riguarda questo disco è il punto d'inizio di una nuova fase della carriera dei Social Distorsion, uno snodo importante che lascia alle spalle un suono ancora acerbo e pone davanti una band che sta trovando la sua strada creandosi un sound nuovo, maturo che va ad affondare le sue radici nelle profondità del country e del rock and roll, elevando Mike Ness ad un songwriting sempre più profondo, personale ed affascinante. 


martedì 24 marzo 2015

Bandit from Border EP Mosche di Velluto Grigio (autoprodotto 2015)

Davvero instancabili e prolifiche queste Mosche di Velluto Grigio,agguerrita band lombarda, che nel giro di un anno ha pubblicato un album e un singolo natalizio, ed ora ci delizia il palato con questo EP semiacustico, dove, liberatisi da distorsioni ed orpelli elettrici, danno sfoggio della loro espressione più calda ed intima confezionando cinque brani di pregevole fattura.
Se i punti di riferimento sono sempre stati il combat punk di Clash o Stiff Little Fingers ed il folk di Pogues e Dubliners ( senza dimenticare una vena cantautorale di tradizione italiana), ora la loro ispirazione vola fino alle lande sperdute americane, quelle desolate terre di confine, teatri di conflitti sociali e miserie che hanno ispirato i più grandi cantautori d'oltreoceano e , quando ascolterete l'iniziale No More Work, non stupitevi se vedrete materializzarsi il "fantasma" di Tom Joad, perchè è proprio  li che le Mosche, con questo nuovo capitolo della loro discografia vogliono trasportarvi.
Springsteen, Steve Earle, Woody Guthrie e Ryan Bingham, sono questi i primi nomi che mi vengono in mente ascoltando queste tracce, cosi scarne, ma tanto intense, grazie ad un songwriting sempre più maturo, ad una voce calda e a quell'arma in più che è il sassofono, ormai marchio di fabbrica della band, che, oltre a rendere la loro proposta originale, conferisce dei toni crepuscolari alle canzoni, rendendole intense e vibranti come un tramonto sul Grand Canyon.
L'ennesima gemma ci viene regalata con Far from Home (grandparent's home), malinconica e struggente, con l'unica concessione elettrica data dall'assolo di chitarra come ciliegina sulla torta: l'ennesima perla nella discografia di questa band che  da il commiato con Witch of the Day at the End of His World che sembra uscita dalla penna e dalla chitarra di Ryan Bingham.
Un'altra grande prova per questa band, che riesce sempre a reinventare il suo stile, regalando miriadi di sfaccettature alla sua proposta  senza snaturarla o porre limiti alle influenze musicali.
Ed il viaggio prosegue, dalle scogliere di Scozia ed Irlanda fino alle sconfinate terre di frontiera americana!
www.moschedivellutogrigio.com
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domenica 15 marzo 2015

The Hunger & The Fight (part 1) The Mahones ( Whiskey Devil Records 2014)













Mi sono innamorato della musica dei Mahones diversi anni fa, quando mi capitò tra le mani una copia della loro raccolta antologica per celebrare i vent'anni di attività e, da quel momento, ho iniziato a seguire le vicende di Finny McConnell e della sua band con dedizione e passione.
Passione che non è venuta meno anche con i loro ultimi lavori, più dediti a sonorità grezze e punk rock che allontanavano la band canadese dai  territori folk alla Pogues/Waterboys: ottimi lavori per carità, ma che scivolavano via senza darmi quelle buone vibrazioni presenti nei capitoli precedenti della loro discografia.
Ed ora, eccoci arrivati ad un punto cruciale nella carriera di questa band, che, dopo l'ennesimo stravolgimento di line up ci presenta il primo step di un ambizioso progetto strutturato su due album, che vuole descrivere l'epopea del popolo irlandese negli ultimi due secoli di storia, tra lotte, miseria e riscatto sociale.
In questa prima parte i suoni tornano ad essere più "folkish" ed anche la strumentazione tradizionale va a ricoprire un ruolo importante nel trademark dei Mahones che, proprio nella titletrack ci presentano un bel folk rock dai toni epici e "in crescendo" che vanno a trovare il loro climax nella parte finale della canzone. In questo brano Finny alterna la sua voce roca e calda a quella della prima ospite del disco, la cantante canadese Tara Slone dando cosi ancora più colore ad uno dei migliori brani della discografia dei Mahones.
La successiva Poor Paddy on the Railway è una traditional song, resa già celebre da Shane MacGowan  nel periodo Popes e vede il rimbalzarsi delle strofe( tipico nel folk irlandese) tra Finny e Tony Duggins dei The Tossers, altra bella realtà da Chicago. La canzone  tratta l'argomento del duro lavoro degli irlandesi quando emigrarono nei primi anni del 900 in America, costretti alle mansioni più degradanti e faticose per poter sopravvivere agli stenti di quei periodi.
Uno dei capolavori di questo album è la ballata Stars, dedicata ad uno dei più famosi scrittori dublinesi, Oscar Wilde e alla sua condizione di perseguitato prima ed esiliato poi, per via della sua dichiarata omosessualità. Alla chitarra troviamo la comparsata di Simon Townsend, figlio del ben più famoso Pete, chitarrista degli Who, grande passione del "capo" Finny.
Il tiro si alza con la successiva Prisoner 1082, rabbiosa e dall' incipit clashiano che vede raccontare le vicende di un arrestato politico, Danny Donnelly, famoso per esser scappato dal carcere di Belfast, al tempo l'Alcatraz europeo e aver vissuto una vita da rifugiato, poichè ricercato da Scotland Yard.
Si ritorna al folk diretto e scanzonato con A Pint of the Plane (A Drop of the Pure), una drinking song veloce e danzereccia come nella miglior tradizione irlandese che però vuole mettere in guardia dalla piaga dell'alcolismo, piuttosto che elogiare le bevute di massa, cosi tipicamente irish.
Il lato romantico della band si manifesta con Someone Saved Me, canzone d'amore che il buon Finny dedica alla moglie, anch'essa musicista a tempo pieno nei Mahones, in veste di fisarmonicista, mentre le successive due canzoni sono il tributo che la band fa alla città di Dublino, prima con The Auld Triangle, la poesia scritta da Brendan Behan e all'epoca messa in musica dai Pogues, mentre con Blood in the Streets of Dublin si tocca con mano il dramma della violenza che per decenni ha insanguinato la capitale irlandese, per cui,al giorno d'oggi, quasi tutte le strade della città hanno morti o ricorrenze da ricordare.
Il finale invece è per St. Patrick's Day Irish Punk Song, un veloce folk punk che vuole autocelebrare la carriera ventennale dei Mahones, dal loro primo concerto proprio nel giorno di San Patrizio fino ai recenti tour mondiali. Un pò di autostima fa sempre bene e il finale è davvero da fuochi d'artificio!.
La versione in vinile ha anche due bonus track, una cover dei Them di Van Morrison, I Can Only Give You Everything ed una dei Rancid, Last One to Die che valgono la pena di essere ascoltate.
Applausi quindi per questa release dei Mahones, che firmano cosi un piccolo capolavoro nella loro discografia ed ora aspettiamo con ansia la seconda parte per chiudere il cerchio di questo ambizioso, ma splendido progetto.
I've got the hunger and the fight
and god knows I will survive
in thiese dark times, there is a light
in this world of sins, there is right
I've got the hunger and the fight
I've got the hunger and the fight
the hunger and the fight






                                   

mercoledì 4 marzo 2015

A Hillbilly Tribute to AC/DC Hayseed Dixie (Dualtone Records 2001)













La leggenda vuole che nel cuore dei Monti Appalachi, in una vallata dimenticata da Dio, un gruppo di sgangherati musicisti bluegrass si imbatta per un caso fortuito in un incidente stradale, dove il conducente della vettura che si è appena schiantata contro una quercia secolare, muore sul colpo ed i nostri prossimi eroi, per cercare di risalire all'identità dello straniero, rovistano tra i suoi effetti personali, trovando così una serie di vecchi vinili di un gruppo a loro sconosciuto che porta il nome di AC/DC. Ascoltando successivamente questi dischi hanno una folgorazione che cambierà radicalmente le loro esistenze: riarrangiare quei brani in versione country-bluegrass e per porre la prima pietra sul  loro progetto decidono di mutare il nome della loro band in una storpiatura del monicker dei loro ispiratori.
Ok questa è la leggenda, la storia vera è che questo primo lavoro degli Hayseed Dixie spacca e lascia davvero basiti per come questa band del Tennessee abbia stravolto brani strafamosi di una delle band rock più popolari di sempre, rendendole patrimonio del mondo folk & country americano.
Inutile citarvi la tracklist, le canzoni le avrete sentite migliaia di volte, ma sfido chiunque a storcere il naso di fronte ad una You Shook Me All Night Long in versione banjo e violino con tanto di voce sbiascicata. Anche Back in Black, famosa per il suo riff roccioso di chitarra viene addolcita con veloci passaggi di banjo, mentre Highway to Hell..beh..quella è rock puro e anche il bluegrass deve inchinarsi ad una canzone cosi.
La demenza è un altro punto a favore degli Hayseed Dixie e TNT è accomapagnata dagli "oink-oink" dei cori di sottofondo e da roboanti flatulenze al momento topico del "..watch me explode" prima del chorus.
Insomma gli AC/DC sono stati coverizzati milioni di volti, ma un tributo così sincero ed originale forse mancava all'appello e questo primo album non è che un tassello della discografia degli Hayseed Dixie, che tra pezzi propri e cover rivisitate di pezzi rock e pop hanno creato un vero e proprio genere, nonchè un seguito non indifferente nella scena alternativa, fuori dai soliti canoni del folk americano.
E' tempo di salopette in jeans, barbecue mastodontici di opossum e pessima birra!!! Folk & Roll!!!
www.hayseed-dixie.com
www.facebook.com/hayseeddixie
Hayseed Dixie – A Hillbilly Tribute To Acdc  (Spotify)


sabato 17 gennaio 2015

...Honor is All We Know Rancid (Hellcat Records 2014)













Beh diciamo che questo 2014 che si è appena concluso non è stata una grande annata per il punk rock, visto che tra le centinaia di uscite che hanno contraddistinto il settore, ben poche hanno fatto la differenza. Chi ha , diciamo, monopolizzato l'attenzione però sono stati i Rancid, con l'annuncio della release di un loro album, nove anni dopo Let the Dominoes Fall, ultima fatica discografica della band di Berkeley.
In questo lasso di tempo i componenti dei Rancid non è che siano spariti dalla circolazione, preferendo concentrarsi sui propri progetti paralleli, tipo Lars Frederiksen con i suoi Old Firm Casuals, Tim Armstrong con i suoi side projects alla ricerca delle sonorità roots reggae e ska (e anche una rehab da alcol nel mezzo) e Matt Freeman con il rockabilly dei Devil's Brigade.
Riunite le forze ancora una volta ecco spuntare fuori questo Honour Is All We Know, mezz'ora di punk rock sparato in faccia come un treno in corsa che non lascia nemmeno il tempo per fiatare.
Ecco quindi rincorersi le sonorità settantasettiane con scariche di punk/hardcore ben amalgamate nello stile dei Rancid, che nonostante gli anni passino per tutti, non perdono un'oncia di cattiveria, aggressività e attitudine.
Si parte con Back Where I Belong, giusto per legittimare la leadership nel gotha punk rock per poi passare al primo anthem del disco. Raise you Fist, inno punk Oi che  trasuda birra e Sham 69.
La voce roca di Tim Armstrong si alterna al ruggito di Lars Frederiksen e, grazie alla supervisione di Mr. Brett Gurewitz, i suoni sono potenti e precisi soprattutto le linee di basso di Matt Freeman, che in pezzi come la title track, disegna linee impazzite e veloci, confermandosi cosi uno dei migliori bassisti in circolazione.
Una cosa che ho sempre apprezzato dei Rancid è la loro capacità di scrivere grandi testi che raccontano semplici storie di vita e di strada, diapositive urbane ricche di personaggi che popolano le città e le provincie americane.
E' il caso di In The Streets, Face Up o Diabolical, affreschi metropolitani che in poche e semplici linee, hanno la forza di raccontare storie di violenza, degrado, ma anche solidarietà e speranza.
La speranza e la rabbia sono i pilastri su cui è costruita la title track, forse il pezzo migliore del disco, tra le sue intricate linee di basso, l'appeal melodico ma allo stesso tempo rabbioso, contraddistinto dall'alternarsi di Lars e Tim alla voce.

Don’t change a goddamn thing, hold your head up high
When the hard times come, we have the strength to defy
Believe in yourself, let the arrow leave the bow
Honor is among us, honor is all we know


The night has come and we no longer see
Better days around the corner, for you and me
Receive the horizon dawn’s golden glow
Honor is among us, honor is all we know



It takes courage to make it in this land
So don’t forget, but forgive every man
And prosperity’s river it will forever flow
Honor is among us, honor is all we know
Il retaggio ska è ancora presente e anche se non c'è la bomba commerciale alla Time Bomb per intenderci, Evil Is My Friend  ed  Everybody's Suffering non sono da considerarsi hit minori, ma hanno il ritmo ed il tiro giusto per coinvolgere sia in sede live che nelle dancehall, soprattutto la seconda che suona come un vero e proprio tributo agli Specials.
In sostanza Honour Is All We Know è un ottimo ritorno per i Rancid, volutamente breve di minutaggio per non essere riempito di filler e abbassare l'adrenalina. E' un disco che va diritto là dove deve colpire, suonato da musicisti che ormai cavalcano l'onda da vent'anni e non vogliono fare un passo indietro mantenendo sempre alta la bandiera del punk rock.
Sicuramente non sarà un capolavoro epocale come And Out Come The Wolves ma si lascia ascoltare che è un piacere e sarà difficile farlo scivolar fuori dal vostro stereo per fargli prendere polvere su qualche scaffale.
Bentornati!!!!
www.rancidrancid.com
www.facebook.com/rancid
Rancid – ...Honor Is All We Know (Spotify)



sabato 3 gennaio 2015

Stavolta Come Mi Ammazzerai? Edda (Niegazowana Records 2014)













"Vaffanculo, è bellissima!"  E' l'esclamazione tra il commosso ed il divertito di Stefano Rampoldi, in arte Edda, alla fine dell'intensa esecuzione di Stellina e rispecchia fedelmente la spontaneità e la voglia di fare che permeano questo terzo album della carriera solista dell'ex cantante dei Ritmo Tribale.
Stavolta Come Mi Ammazzerai. citazione colta da una battuta di un film noir Anni Settanta, è l'apice della nuovo cammino musicale di Edda, un titolo crudo e spietato che fa da contraltare alla candida immagine famigliare del cantante milanese messa in copertina ed è il continuum di quella ricerca interiore che lo ha portato a mettere i propri sentimenti e le proprie angosce a nudo  iniziata nel 2009 con il suo ritorno sulle scene.
In questo lavoro non si pone limiti e va diretto al punto, toccando tasti emotivi profondi come gli affetti famigliari, pilastri fondamentali che possono diventare opprimenti. Ecco quindi la rabbiosa Pater rivolta ad un padre assente e Mater rivolta ad una madre troppo attaccata che non ha mai saputo capire il figlio. Un fratello distante ed una sorella morta prematuramente dipingono il quadro di Coniglio Rosa, anche se alla fine Stefano, nonostante la sua "famiglia di dannati" dichiara che "i Rampoldi li ha sempre amati".
Diciassette canzoni, un disco lungo, estremamente eterogeneo che riporta Edda dove aveva chiuso anni fa: la musica rock, intesa nel suo modo più semplice e basilare, ovvero basso-batteria-chitarra e poi la  voce, la sua, tornata potente e grintosa, come in Stellina o Mademoiselle, una strizzata d'occhio al resto dei Tribali in giro, come per dire "Io sono pronto".
Ma ci sono anche momenti dove scava nel suo intimo e cerca risposte ad un amore che logora (Dormi e Vieni con il suo angosciante "non mi lasciare sola") e ad uno che finisce (Tu e le Rose), mentre Saibene ha la forza di strappare lacrime tale è l'intensità di questa piano ballad.
La sua è una terapia messa in musica, dove sembra che voglia insozzarsi di brutture e negatività(HIV, Ragazza Porno, Puttana da 1 Euro) per cercare una redenzione. Un viaggio duro e faticoso scritto con quel suo modo particolare di creare testi, a volte insolente, a volte viscerale ma che non lascia mezze misure, o lo si ama o lo si odia.
Confesso che non è stato facile scrivere questa recensione, visto che ad ogni ascolto avevo miriadi di sensazioni che mi giravano in testa a riguardo. Ed è proprio questo il bello di Stavolta Come Mi Ammazzerai, un disco che chiede di essere ascoltato e capito regalando così sfumature nuove ogni volta che si deciderà di mettere il disco sul piatto.
Ah dimenticavo...è anche il miglior disco di questo 2014 appena conclusosi..ma questo me lo confermerete voi!
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