martedì 24 marzo 2015

Bandit from Border EP Mosche di Velluto Grigio (autoprodotto 2015)

Davvero instancabili e prolifiche queste Mosche di Velluto Grigio,agguerrita band lombarda, che nel giro di un anno ha pubblicato un album e un singolo natalizio, ed ora ci delizia il palato con questo EP semiacustico, dove, liberatisi da distorsioni ed orpelli elettrici, danno sfoggio della loro espressione più calda ed intima confezionando cinque brani di pregevole fattura.
Se i punti di riferimento sono sempre stati il combat punk di Clash o Stiff Little Fingers ed il folk di Pogues e Dubliners ( senza dimenticare una vena cantautorale di tradizione italiana), ora la loro ispirazione vola fino alle lande sperdute americane, quelle desolate terre di confine, teatri di conflitti sociali e miserie che hanno ispirato i più grandi cantautori d'oltreoceano e , quando ascolterete l'iniziale No More Work, non stupitevi se vedrete materializzarsi il "fantasma" di Tom Joad, perchè è proprio  li che le Mosche, con questo nuovo capitolo della loro discografia vogliono trasportarvi.
Springsteen, Steve Earle, Woody Guthrie e Ryan Bingham, sono questi i primi nomi che mi vengono in mente ascoltando queste tracce, cosi scarne, ma tanto intense, grazie ad un songwriting sempre più maturo, ad una voce calda e a quell'arma in più che è il sassofono, ormai marchio di fabbrica della band, che, oltre a rendere la loro proposta originale, conferisce dei toni crepuscolari alle canzoni, rendendole intense e vibranti come un tramonto sul Grand Canyon.
L'ennesima gemma ci viene regalata con Far from Home (grandparent's home), malinconica e struggente, con l'unica concessione elettrica data dall'assolo di chitarra come ciliegina sulla torta: l'ennesima perla nella discografia di questa band che  da il commiato con Witch of the Day at the End of His World che sembra uscita dalla penna e dalla chitarra di Ryan Bingham.
Un'altra grande prova per questa band, che riesce sempre a reinventare il suo stile, regalando miriadi di sfaccettature alla sua proposta  senza snaturarla o porre limiti alle influenze musicali.
Ed il viaggio prosegue, dalle scogliere di Scozia ed Irlanda fino alle sconfinate terre di frontiera americana!
www.moschedivellutogrigio.com
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domenica 15 marzo 2015

The Hunger & The Fight (part 1) The Mahones ( Whiskey Devil Records 2014)













Mi sono innamorato della musica dei Mahones diversi anni fa, quando mi capitò tra le mani una copia della loro raccolta antologica per celebrare i vent'anni di attività e, da quel momento, ho iniziato a seguire le vicende di Finny McConnell e della sua band con dedizione e passione.
Passione che non è venuta meno anche con i loro ultimi lavori, più dediti a sonorità grezze e punk rock che allontanavano la band canadese dai  territori folk alla Pogues/Waterboys: ottimi lavori per carità, ma che scivolavano via senza darmi quelle buone vibrazioni presenti nei capitoli precedenti della loro discografia.
Ed ora, eccoci arrivati ad un punto cruciale nella carriera di questa band, che, dopo l'ennesimo stravolgimento di line up ci presenta il primo step di un ambizioso progetto strutturato su due album, che vuole descrivere l'epopea del popolo irlandese negli ultimi due secoli di storia, tra lotte, miseria e riscatto sociale.
In questa prima parte i suoni tornano ad essere più "folkish" ed anche la strumentazione tradizionale va a ricoprire un ruolo importante nel trademark dei Mahones che, proprio nella titletrack ci presentano un bel folk rock dai toni epici e "in crescendo" che vanno a trovare il loro climax nella parte finale della canzone. In questo brano Finny alterna la sua voce roca e calda a quella della prima ospite del disco, la cantante canadese Tara Slone dando cosi ancora più colore ad uno dei migliori brani della discografia dei Mahones.
La successiva Poor Paddy on the Railway è una traditional song, resa già celebre da Shane MacGowan  nel periodo Popes e vede il rimbalzarsi delle strofe( tipico nel folk irlandese) tra Finny e Tony Duggins dei The Tossers, altra bella realtà da Chicago. La canzone  tratta l'argomento del duro lavoro degli irlandesi quando emigrarono nei primi anni del 900 in America, costretti alle mansioni più degradanti e faticose per poter sopravvivere agli stenti di quei periodi.
Uno dei capolavori di questo album è la ballata Stars, dedicata ad uno dei più famosi scrittori dublinesi, Oscar Wilde e alla sua condizione di perseguitato prima ed esiliato poi, per via della sua dichiarata omosessualità. Alla chitarra troviamo la comparsata di Simon Townsend, figlio del ben più famoso Pete, chitarrista degli Who, grande passione del "capo" Finny.
Il tiro si alza con la successiva Prisoner 1082, rabbiosa e dall' incipit clashiano che vede raccontare le vicende di un arrestato politico, Danny Donnelly, famoso per esser scappato dal carcere di Belfast, al tempo l'Alcatraz europeo e aver vissuto una vita da rifugiato, poichè ricercato da Scotland Yard.
Si ritorna al folk diretto e scanzonato con A Pint of the Plane (A Drop of the Pure), una drinking song veloce e danzereccia come nella miglior tradizione irlandese che però vuole mettere in guardia dalla piaga dell'alcolismo, piuttosto che elogiare le bevute di massa, cosi tipicamente irish.
Il lato romantico della band si manifesta con Someone Saved Me, canzone d'amore che il buon Finny dedica alla moglie, anch'essa musicista a tempo pieno nei Mahones, in veste di fisarmonicista, mentre le successive due canzoni sono il tributo che la band fa alla città di Dublino, prima con The Auld Triangle, la poesia scritta da Brendan Behan e all'epoca messa in musica dai Pogues, mentre con Blood in the Streets of Dublin si tocca con mano il dramma della violenza che per decenni ha insanguinato la capitale irlandese, per cui,al giorno d'oggi, quasi tutte le strade della città hanno morti o ricorrenze da ricordare.
Il finale invece è per St. Patrick's Day Irish Punk Song, un veloce folk punk che vuole autocelebrare la carriera ventennale dei Mahones, dal loro primo concerto proprio nel giorno di San Patrizio fino ai recenti tour mondiali. Un pò di autostima fa sempre bene e il finale è davvero da fuochi d'artificio!.
La versione in vinile ha anche due bonus track, una cover dei Them di Van Morrison, I Can Only Give You Everything ed una dei Rancid, Last One to Die che valgono la pena di essere ascoltate.
Applausi quindi per questa release dei Mahones, che firmano cosi un piccolo capolavoro nella loro discografia ed ora aspettiamo con ansia la seconda parte per chiudere il cerchio di questo ambizioso, ma splendido progetto.
I've got the hunger and the fight
and god knows I will survive
in thiese dark times, there is a light
in this world of sins, there is right
I've got the hunger and the fight
I've got the hunger and the fight
the hunger and the fight






                                   

mercoledì 4 marzo 2015

A Hillbilly Tribute to AC/DC Hayseed Dixie (Dualtone Records 2001)













La leggenda vuole che nel cuore dei Monti Appalachi, in una vallata dimenticata da Dio, un gruppo di sgangherati musicisti bluegrass si imbatta per un caso fortuito in un incidente stradale, dove il conducente della vettura che si è appena schiantata contro una quercia secolare, muore sul colpo ed i nostri prossimi eroi, per cercare di risalire all'identità dello straniero, rovistano tra i suoi effetti personali, trovando così una serie di vecchi vinili di un gruppo a loro sconosciuto che porta il nome di AC/DC. Ascoltando successivamente questi dischi hanno una folgorazione che cambierà radicalmente le loro esistenze: riarrangiare quei brani in versione country-bluegrass e per porre la prima pietra sul  loro progetto decidono di mutare il nome della loro band in una storpiatura del monicker dei loro ispiratori.
Ok questa è la leggenda, la storia vera è che questo primo lavoro degli Hayseed Dixie spacca e lascia davvero basiti per come questa band del Tennessee abbia stravolto brani strafamosi di una delle band rock più popolari di sempre, rendendole patrimonio del mondo folk & country americano.
Inutile citarvi la tracklist, le canzoni le avrete sentite migliaia di volte, ma sfido chiunque a storcere il naso di fronte ad una You Shook Me All Night Long in versione banjo e violino con tanto di voce sbiascicata. Anche Back in Black, famosa per il suo riff roccioso di chitarra viene addolcita con veloci passaggi di banjo, mentre Highway to Hell..beh..quella è rock puro e anche il bluegrass deve inchinarsi ad una canzone cosi.
La demenza è un altro punto a favore degli Hayseed Dixie e TNT è accomapagnata dagli "oink-oink" dei cori di sottofondo e da roboanti flatulenze al momento topico del "..watch me explode" prima del chorus.
Insomma gli AC/DC sono stati coverizzati milioni di volti, ma un tributo così sincero ed originale forse mancava all'appello e questo primo album non è che un tassello della discografia degli Hayseed Dixie, che tra pezzi propri e cover rivisitate di pezzi rock e pop hanno creato un vero e proprio genere, nonchè un seguito non indifferente nella scena alternativa, fuori dai soliti canoni del folk americano.
E' tempo di salopette in jeans, barbecue mastodontici di opossum e pessima birra!!! Folk & Roll!!!
www.hayseed-dixie.com
www.facebook.com/hayseeddixie
Hayseed Dixie – A Hillbilly Tribute To Acdc  (Spotify)